«Ottavio Galati era legato a Giuseppe Antonio Accorinti perché gli appartiene, poi Armando e Carmine Galati che è morto». A dirlo è Angiolino Servello, di Jonadi, collaboratore di giustizia dal 2005.
Sentito nel corso dell’udienza del processo Maestrale, Servello ha affermato anche che tra Giuseppe Accorinti, detto Peppone, e Saverio Razionale, boss di San Gregorio d’Ippona, c’era «grande stima perché hanno fatto tante cose insieme tra cui la morte di Roberto Soriano e di un altro ragazzo di Piscopio. Sono loro gli autori materiali».

«Roberto Soriano e Antonino Lo Giudice – dice Servello - si sono recati presso la campagna di Peppone Accorinti dove sono capitati in una tana del lupo. Accorinti ha chiamato Razionale. A me questo lo ha raccontato Saverio Razionale – afferma Servello – in quanto io e Razionale eravamo migliori amici, tanti anni fa. Razionale si è recato alla masseria di Accorinti dove ha voluto delle spiegazioni da Roberto Soriano riguardo a degli attentati subiti in una occasione a Briatico e, in un’altra occasione, a casa sua a San Gregorio D’Ippona. Soriano ha ammesso che a San Gregorio D’Ippona aveva sparato lui contro casa di Razionale» per via di alcuni schiaffi ricevuto dal boss. Servello dice di essere stato presente al fatto, anche se «non ero in vista». Soriano avrebbe dovuto pagare dell’eroina ma chiedeva uno sconto sul suo debito e questa discussione avrebbe cagionato gli schiaffi da parte di Saverio Razionale.

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La morte di Soriano: «Non hanno trovato nemmeno l’aria»

Ma sull’attentato a Briatico, avrebbe detto Soriano, «io non so nulla, mi puoi anche ammazzare, tanto lo so che sto per morire». Razionale, dice Servello, è andato da Peppone Accorinti, «è andato col nipote Gregorio Gasparro».
Il finale di questa storia, per la quale sono stati condannati all’ergastolo sia Accorinti che Razionale, è che «alla fine sono morti tutti e due sti ragazzi, sia Roberto Soriano che Lo Giudice. Lo Giudice è stato bruciato in una macchina mentre di Soriano Roberto non hanno trovato nemmeno l’aria».

Il gruppo di Accorinti e le rivalità coi Mancuso

Per quanto riguarda i rapporti della famiglia Accorinti con le consorterie di Francavilla Angitola e Pizzo, Servello ha raccontato che gli Accorinti avevano amicizie con i fratelli Fiumara, Danilo e Claudio, con Rocco Anello e Tommaso Anello di Filadelfia. Per il resto il pentito parla di rapporti con la famiglia Bonavota di Sant’Onofrio e con la famiglia Cracolici «che sono stati sterminati pure loro».
Questi rapporti di “amicizia” erano fatti di spartizioni di mazzette pretese dalle ditte che avevano cantieri aperti. «So che c’erano degli aspri con la famiglia Mancuso perché non volevano che i Mancuso si occupassero dei villaggi, dei lavori nella zona di Pizzo».
Il gruppo che si opponeva ai Mancuso sarebbe stato capeggiato da Damiano Vallelunga, Peppone Accorinti, Rocco Anello e Pasquale Bonavota. «Erano tutti una famiglia – dice Servello – che cercava di mandare via la famiglia Mancuso».

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L’assunzione, con estorsione, alla ditta di trasporti

«Io con Rocco Anello lavoravo in una azienda romana, con sede a Lamezia Terme, che si occupava del trasporto di giornali. Quella era un’azienda che avevamo preso con un’estorsione. Mi sono fatto assicurare perché l’azienda lo voleva. Però quei soldi che prendevo li dividevo con Rocco Anello. E questo aggancio per prendere questo lavoro l’ho avuto perché è venuto con me Ambrogio Accorinti, fratello di Peppone Accorinti, per garantire  per me con gli Anello che io non conoscevo molto bene».
Angiolino Servello ammette che la sua assunzione con la ditta di trasporti è stata un’estorsione «ma siccome tutto è regolare con buste paga e tutto il resto, mi hanno pagato tutti i diritti anche dopo la collaborazione». Un’assunzione, è stato detto in udienza, nata per nascondere gli introiti che riceveva col narcotraffico.

Assunzione, attentato, estorsione

Il rapporto di Servello con la ditta sarebbe iniziato in seguito alla richiesta di aiuto di un ragazzo di Acconia, accusato di avere rubato in azienda e «io sono andato come spalla forte e ho parlato con un responsabile». Dal discorso è venuto fuori che la ditta cercava un guardiano e Servello si è proposto. «Io sono entrato così – dice Servello -. Ma dato che là dentro lavorava la suocera di uno degli Anello» la voce è arrivata alla cosca che, per dispetto, ha bruciato parte dell’azienda come segnale che Servello se ne doveva andare. «A questo punto sono intervenuto io con l’amicizia di Ambrogio Accorinti. Abbiamo parlato con Tommaso Anello» e l’accordo è stato raggiunto: quello che Servello avrebbe guadagnato lo avrebbe diviso con gli Anello. «Io ho portato il profitto a Tommaso Anello fino a quando non mi hanno arrestato».

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Gli omicidi Vecchio e Scuteri

Giuseppe Antonio Accorinti e gli Anello, sostiene Servello, hanno sempre avuto buoni uffici «fino a quando non ci sono stati gli omicidi di Gennaro Vecchio e Domenico Scuteri, entrambi di San Giorgio. Lì non so se è crollata l’amicizia o meno perché Anello garantiva per Scuteri mentre Accorinti garantiva per Vecchio».
Rispondendo alle domande del pm Annamaria Frustaci, Angiolino Servello ha spiegato che «Gennaro Vecchio era una persona rispettata, io ci andavo con Ambrogio Accorinti. Ho preso più di 20 chili di cocaina da Vecchio. Poi ho saputo che ci sono stati dissapori tra Vecchio e Scuteri, persona che io non conosco, so che era un altro malavitoso. Il primo che è venuto a mancare è stato Vecchio. L’ha ammazzato Domenico Scuteri. Lo so perché me lo hanno detto gli Accorinti che poi si sono vendicati. Era quel periodo in cui lavoravamo su Roma con la cocaina».

Quando scatta la sete di vendetta

Servello si dice sicuro che «gli autori materiali del delitto di Scuteri sono Giuseppe Accorinti, Raffaele Fiammingo, uno dei fratelli di Mesiano di cui non ricordo il nome…».
Angiolino Servello spiega di avere appreso particolari della morte di Scuteri da Ambrogio Accorinti che, prima che venisse ucciso Scuteri, era andato a parlare con gli Anello perché sapeva che questi era amico con la cosca di Filadelfia. Accorinti avrebbe chiesto di lasciare stare Vecchio «perché ci interessa a noi».
Quando è stato ucciso Gennaro Vecchio, gli Accorinti hanno tributato l’omicidio a Scuteri ed è scattata «la sete di vendetta».