Le celebrazioni per il 550mo anniversario della morte di Giorgio Castriota Skanderbeg hanno acceso i riflettori sulla lezione storica impartita dalla Calabria in tema di accoglienza ed integrazione: seicento anni fa le comunità arbereshe, costituite un tempo da profughi disarmati e terrorizzati dalla violenza delle guerre, sono giunte a ripopolare il Sud del nostro Paese in un periodo nel quale i territori del meridione rischiavano la desertificazione. La generosità dei calabresi è stata ripagata dal lavoro delle braccia e dall’impegno civile e intellettuale con cui gli albanesi d’Italia hanno poi partecipato al Risorgimento, con figure di rilievo del calibro di Girolamo De Rada o di Pasquale Scura, ma anche alla vita politica e istituzionale, ricordando le radici arbereshe di Francesco Crispi o, da ultimo di Stefano Rodotà. Oggi come seicento anni fa la Calabria continua a rappresentare la terra di approdo e di speranza per migliaia di migranti in fuga. Per questo molti osservatori hanno letto in questo incontro tra il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il presidente dell’Albania Ilir Meta, il desiderio di lanciare un segnale di rottura rispetto ai venti nazionalisti e di intolleranza etnica tornati a spirare sull’Europa. E le complesse vicende che hanno scandito nei secoli la storia del Mediterraneo insegnano che la terra è patria dell’umanità e nessuno deve sentirsi clandestino o straniero. Densa di significati dunque la manifestazione ospitata nel collegio di Sant’Adriano a San Demetrio Corone, dove i due presidenti, suggellando la reciproca amicizia ed alleanza, hanno insieme scoperto una targa celebrativa delle imprese compiute da Skanderbeg.

Ecco uno dei passaggi più significativi dell’intervento del presidente Mattarella: