Non solo rifiuti, appalti e racket. Usucapioni simulati, scartoffie e testimoni falsi: ecco come i mafiosi sono diventati latifondisti. E quando la Squadra mobile intervenne si ritrovò con le mani legate
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Hanno usato di tutto: pistole, fucili, polvere pirica, benzina, carta e penna, la parola. Così hanno piegato l’economia al loro volere. Per prendersi la città, o almeno una parte di essa, la ‘ndrangheta a Vibo Valentia ha usato perfino il filo spinato. Quanto bastava per recintare i terreni e, così, di fatto, sottrarli ai legittimi proprietari. Il resto era affidato a qualche scartoffia: erano sufficienti dei testimoni falsi e un professionista compiacente, lo stretto necessario per rappresentare una legittima (seppur, in radice e nella sostanza, farlocca) acquisizione per usucapione.
I tre fogli manoscritti
L’8 settembre 2016, negli uffici del Ros Centrale, l’allora pm della Procura antimafia di Catanzaro Camillo Falvo, che tre anni dopo diverrà procuratore capo di Vibo Valentia, assieme a due investigatori dell’Arma dei carabinieri, incalza Andrea Mantella nel suo sedicesimo interrogatorio dall’inizio della sua collaborazione con la giustizia. È un pentito il cui narrato è poderoso e segnerà una svolta nella storia del contrasto al crimine organizzato nella provincia crocevia dei rapporti tra i giganti della ‘ndrangheta di ogni quadrante calabrese. Avvezzo all’uso delle armi sin dall’adolescenza, uomo d’azione e pluriomicida agli ordini dei Lo Bianco-Barba, poi scissionista, capo di gruppo criminale che impose col terrore il dominio su larga parte della città capoluogo e che creò con altri pezzi da novanta della provincia un cartello riottoso allo storico strapotere dei Mancuso, Mantella quel giorno reca con sé tre fogli manoscritti.
Dai rifiuti alle mense
Appunta come sin dal 2011 la gestione dei rifiuti fosse stata una manna per la malavita. Chi s’occupava della raccolta non pagava una, bensì tre tangenti: la prima era destinata a lui, la seconda a Pantaleone Mancuso detto Scarpuni «tramite Giovanni Campennì» (ovvero l’uomo in affari con Salvatore Buzzi, già coinvolto nelle vicende giudiziarie connesse all’inchiesta Mafia Capitale), la terza ai Fiarè di San Gregorio d’Ippona. Parla, Mantella, della gestione della mensa ospedaliera, che poi sarà uno dei bersagli dell’indagine Maestrale-Cartagho. Parla di imprenditori e opere pubbliche, di appalti, attentati, lupare bianche.
La ‘mbasciata dai Soriano
E poi spiega come materialmente la mala avesse messo le mani su ettari ed ettari di terreni. Racconta un paio di vicende emblematiche. Rammenta in particolare quando incaricò due dei suoi di «recintare diversi ettari di terreno di una donna di Messina per appropriarmene come solitamente avviene nella criminalità organizzata». Poi, però, gli giunse una ‘mbasciata, veniva dai fratelli Leone e Gaetano Soriano, vertici dell’omonimo clan egemone a Filandari. Per «liberarlo» gli proposero «40.000 euro, che io ho accettato – dice al procuratore Falvo, Mantella – in quanto il terreno non era il mio». I soldi gli furono consegnati in contanti, mentre si trovava latitante, sfuggito alla cattura nel contesto dell’operazione Asterix.
Le mani legate
È un terreno particolare, quello, al quale si accede tramite una strada interna sulla via che collega la città capoluogo alla frazione Triparni. È limitrofo ad un altro, ancora più vasto, la cui storia è sintomatica della impunita protervia attraverso cui la malavita ha messo le mani sulla città. S’erano presi anche quello. Il proprietario, che poi ingaggiò una lunga, logorante quanto inutile battaglia legale per riaverlo, un giorno chiamò la polizia, che intervenne tempestivamente. Anzi, fiutando puzza di mafia, ci andarono quelli della Squadra mobile che, però, si ritrovarono con le mani legate: «Ormai era tardi – spiega Mantella – perché avevano trovato i testimoni falsi». Vent’anni di legittimo usucapione, per la mala volano giusto il tempo di chiudere una recinzione.
Così fan tutti
Per quel che ne sa Mantella, uno che stante la carriera criminale di cose ne sa parecchie, così fan tutti. «Tanti terreni – dice – sono stati acquisiti allo stesso modo da numerosi gruppi criminali, come ad esempio i Soriano, Peppone Accorinti, Razionale». E sono ovunque, tutti terreni di pregio. Un altro, sempre a titolo esemplificativo, si trova «alla Madonnella, nei pressi del 501», sovrastante la statale 18 che collega a Vibo Marina e Pizzo: vista mozzafiato. Un altro ancora, questo ancor più prezioso, «è situato sulla strada per il carcere di Vibo Valentia, in località Castelluccio. Questo terreno, poi, a seguito dell’intervento della Sovrintendenza dei Beni Culturali, poiché confina con le mura greche, è stato diviso e comunque in parte recintato»