Sono 373 i comuni italiani sciolti per infiltrazione mafiosa secondo la relazione della Dia nel 2021. Il primato spetta ovviamente alla Calabria con ben 73 amministrazioni colpite da interdittive. C’è però chi ritiene che qualcosa nella legge Severino vada riformata. «L’elenco degli amministratori colpiti da queste misure è così lungo che ci troviamo difronte ad una vera e propria questione politica», ci dice Marcello Manna, sindaco di Rende e presidente dell’Anci, mentre nella stanza accanto, la Commissione d’Accesso è a lavoro per accertare eventuali infiltrazioni.

Manna, lei da presidente dell’Anci ha diramato una nota molto dura contro la legge Severino. Questo perché ha il problema in casa? È stato opportuno?
«Ma guardi che la mia è una battaglia che viene da lontano e che ho condotto nel mio ruolo di presidente dei sindaci calabresi. Qualcuno ha sollevato, come fa lei, una questione di opportunità, ma la riflessione che ho fatto da innocente è che bisogna andare avanti in questa lotta per un principio di democrazia. Non lo dico per me, io mi difenderò nelle sedi deputate. Ho dato il mio più sincero benvenuto alla Commissione che finalmente testimonierà la dirittura amministrativa che abbiamo sempre tenuto e che non può essere certo offuscata da una parola intercettata».

I partiti però mi sembrano distratti su questa vicenda…
«Purtroppo devo darle ragione. Nel mio periodo dei domiciliari, fra tante altre cose, ho letto i programmi elettorali di tutti i partiti. La Lega è l’unica che nel suo programma ha inserito un punto sulla riforma della legge Severino. Tutti gli altri si sono limitati ad una serie di enunciazioni generiche sul tema della giustizia. Non si è fatto alcun passo in avanti, nonostante le tante dichiarazioni d’intenti».

Ma lei che riforma immagina della legge? O vorrebbe proprio abolirla?
«Io dico semplicemente che va riportata la democrazia in questo tipo di procedimento: va inserito assolutamente il contraddittorio. Chi è accusato deve avere la possibilità di difendersi prima e non dopo un eventuale pronunciamento. Si tratta cioè di rendere più trasparente un qualcosa che ci deve essere, ma con le giuste garanzie per tutti».

I numeri della relazione della Dia sono impietosi: perché in Calabria e Sicilia si registra il dato più elevato?
«Guardi dovremmo fare un salto di qualità culturale che da noi è difficile perché abbiamo questa tendenza a dire che tutto è malaffare. Gli amministratori locali, qui, fanno veri e proprio miracoli. Oggi invece si è invertito l’assioma: i sindaci si trovano accusati di mafia quando magari si tratta di un semplice abuso di ufficio o qualcosa del genere».

Quindi mi sta dicendo che la sua vicenda non l’ha condizionata in questo ragionamento?
«No, sono certo che faremo chiarezza, la più ampia possibile. Al Tdl ci siamo difesi sulla materialità delle cose. Il pm in udienza ha parlato di “processo indiziario”, basato sul “presumiamo che”. Ritengo che non ci siano elementi sostanziali perché tutto verte su parole captate durante alcuni colloqui. L’intercettazione quindi non come mezzo di ricerca della prova, ma come prova tout court».

Si è sentito isolato politicamente in questa storia?
«Le dirò, ci sono stati esponenti politici che mi hanno manifestato sincera vicinanza, c’è stato qualche silenzio non giustificabile e persino un apprezzamento verso l’inchiesta a scatola chiusa. Il tutto senza aver letto nemmeno un foglio, il che qualifica a pieno la qualità di questo amministratore». 

La vicenda ricorda molto, anche nei personaggi coinvolti, quella di Sandro Principe: dov’è l’empasse?
«Mi spiace che Rende debba subire due volte la stessa situazione. Per il resto… cosa vuole che le dica?»