Maierà, “Affari in famiglia”: annullato il sequestro beni ai De Marco

Per il tribunale di Cosenza non ci sono prove sufficienti a dimostrare che il provento illecito sia stato reinvestito nelle attività economiche di famiglia. Il sindaco sospeso e il figlio tirano un respiro di sollievo

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di Francesca  Lagatta
30 aprile 2019
08:49
Il tribunale di Cosenza
Il tribunale di Cosenza

Dopo la bufera giudiziaria che li ha travolti, il sindaco sospeso di Maierà, Giacomo De Marco, e suo figlio, Gino De Marco, tirano un sospiro di sollievo. Nei giorni scorsi il tribunale del Riesame di Cosenza, competente in materia di misure cautelari reali, ha accolto il ricorso dei legali Benedetto e Nicola Carratelli e ha annullato il dispositivo di sequestro preventivo precedentemente emesso dal giudice delle indagini preliminari del tribunale di Paola, avente ad oggetto quote societarie, nonché rapporti finanziari e beni immobili e mobili, per un totale di circa un milione e mezzo di euro. Il decreto di sequestro preventivo rientrava nell'ambito dell'inchiesta "Affari in famiglia", coordinata dalla procura di Paola e dalla Guardia di Finanza di Scalea, che ha portato all'arresto cautelare in carcere di padre e figlio in un'operazione del 4 aprile scorso. I due imprenditori sono stati accusati di bancarotta fraudolentaautoriciclaggio.

Cade l'accusa di autoriciclaggio

Il 16 aprile scorso il Riesame di Catanzaro, competente invece sulle misure cautelari restrittive della libertà personale, ha annullato annullato l'ordinanza relativa al capo di imputazione di autoriciclaggio assegnando ai due indagati gli arresti domiciliari, condotti nello stesso pomeriggio nella loro abitazione a Maierà. Per i giudici catanzaresi, evidentemente, non c'è la necessità di applicare la misura cautelare in carcere, essendo venuta meno l'ipotesi che una parte dei guadagni di natura illecita sia stata reinvestita in attività economiche apparentemente immacolate.


Dello stesso parere è il tribunale di Cosenza, che nei giorni scorsi ha confermato l'assenza di prove sufficienti a ritenere che «gli indagati abbiano posto in essere attività concretamente idonee a dissimulare l’origine delittuosa dei beni costituenti ramo aziendale, provenienti dal fallimento e impiegati per ottenere l’aggiudicazione di appalti». Di qui, l'immediato dissequestro dei beni. Per quanto riguarda invece le accuse di bancarotta fraudolenta, il capo di imputazione è rimasto immutato.

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