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Scrive Salvo Palazzolo su Repubblica (20/8/2017): «Per cinquant’anni, un banco della Chiesa madre di Corleone è stato un simbolo. Di rispetto, di ossequio. Per qualche vecchio nostalgico è stato anche un simbolo di venerazione. “Perché la persona cui è dedicato da sempre quel banco ha fatto tanto bene a Corleone”, così sussurra ancora qualcuno in paese. “Dott. Michele Navarra”, era scritto su una targhetta fissata sul banco. Un nome, un cognome, un titolo. E niente altro. Ma questo bastava». Adesso la targhetta è stata fatta togliere dal vescovo di Monreale su segnalazione del prefetto di Palermo.
Rinfreschiamoci la memoria. Michele chi? Michele Navarra, detto “U patri nostro”. Il padre nostro. Capomafia di Corleone negli anni ’50, fatto trucidare il 2 agosto 1958 da Luciano Liggio, detto “La primula rossa”, dopo che lo stesso Navarra aveva tentato di fare fuori colui che sarebbe diventato, sino agli anni ’70, alternandosi con Gaetano Badalamenti e Stefano Bontade, il capo della mafia italo-americana. Per capire l’importanza avuta da Navarra nella storia della grande mafia siciliana bisogna osservare l’albero genealogico dei corleonesi, il ramo più feroce che alimentava la cupola di Cosa Nostra. Michele Navarra- Luciano Liggio -Totò Riina -Bernardo Provenzano. Poi quella cosca organizzò nel 1963 la strage di Ciaculli in cui morirono 4 carabinieri, 2 artificieri e un sottoufficiale di PS. Il processo fu celebrato a Catanzaro nel 1967. Da lì nacque la Commissione parlamentare antimafia.
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Tra il 1948 e il 1949 Michele Navarra fu inviato al confino di polizia nel territorio di Gioiosa Jonica (proprio in quel tempo la frazione di Marina di Gioiosa Jonica divenne comune autonomo) a seguito di un’accusa di omicidio mai provata in tribunale. Egli, in pratica, venne accusato di aver fatto un’iniezione letale ad un pastorello di 13 anni, tale Giuseppe Letizia, la cui sola colpa era di essere stato testimone oculare del clamoroso rapimento e omicidio del sindacalista Placido Rizzotto (i cui resti sono stati trovati nel marzo del 2012 dalla Polizia scientifica di Palermo in una foiba di Corleone, comparando il dna del padre col figlio) a causa di Luciano Liggio che era killer del medesimo Navarra.
Michele, colletto bianco avanti lettera. Il personaggio dimostra che la mafia dei colletti bianchi non è figlia dell’evoluzione dei tempi, semmai, ab origine, ne fu madre. Michele Navarra nacque a Corleone il 5 gennaio 1905 in una famiglia agiata. Suo padre era persona molto influente in paese: faceva il maestro alla locale scuola agraria, era proprietario terriero nonché membro del circolo dei nobili. Poté, così, inviare il figlio a studiare prima ingegneria e poi medicina all’Università di Palermo dove ottenne la laurea nel 1929. Da lì il trasferimento repentino a Trieste dove fece prima il medico ausiliario e poi il militare. Il ritorno in paese fu un trionfo: da medico condotto, corazzato di furbizia e bonomia, divenne ben presto un personaggio popolare, con una nomea che raggiunse Palermo e tutta l’isola. Rispettato, riverito, omaggiato, amato. E temuto, naturalmente. Da qui il soprannome “U patri nostro”.
Ma col prestigio professionale e umanista lievitò, di pari passo, la scalata ai più alti gradini della mafia. Non si fece scrupolo di usare le leve più forti e spregiudicate per penetrare nel potere soffocante che regolamentava il controllo sociale del territorio. Divenne la massima autorità sanitaria del circondario e, nello stesso tempo, frequentò (meglio: usò) la politica, prima da separatista, poi da liberale e, infine, da democristiano. Mentre esercita il suo potere mafioso, l’allievo preferito, Luciano Leggio (detto Liggio) diventa ingombrante e il dottore pensa di eliminare il figlioccio, Lucianeddu, ordinando un agguato che però non riesce. Fatale errore. La vendetta della “Primula rossa” è immediata ed implacabile: Michele Navarra viene colpito dal piombo mitragliatore di Liggio mentre, alla guida di Fiat 1100 nera, torna a Corleone da Prizzi insieme al dottor Giovanni Russo.
Il breve soggiorno di Navarra in Calabria divenne un corso di specializzazione e sprovincializzazione per l’ancora acerba ’ndrangheta locale che si abbeverò alla fama del potente siciliano. Un medico d’onore, come lo definirono ossequiose le ‘ndrine joniche. Si disse che i boss della zona si prenotassero per poterlo incontrare. L’unico di pari grado era ’Ntoni Macrì di Siderno, “il boss dei due mondi”. Giova ricordare che il confino era un provvedimento di polizia per tenere lontano dal proprio habitat un soggetto ritenuto socialmente pericoloso perché organico alla malavita organizzata. In realtà quel sistema di controllo e di deterrenza finì per esportare la mafia ovunque.
Bruno Gemelli