Il giovane Francesco Covato sparì senza lasciare traccia. All’imputato vengono contestati anche l’occultamento del cadavere e l’aggravante mafiosa
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Omicidio e occultamento di cadavere. Questi i reati contestati dal pm della Dda di Catanzaro, Andrea Mancuso, a Nazzareno Colace, 58 anni, di Portosalvo (frazione di Vibo) nei cui confronti è stata avanzata al gup distrettuale la richiesta di rinvio a giudizio per l’omicidio di Francesco Covato, sparito tra il 23 ed il 24 gennaio 1990. In concorso con altri soggetti allo stato non identificati, Nazzareno Colace è accusato di essere stato il promotore, l’ideatore e l’esecutore del delitto, “esplodendo colpi d’arma da fuoco all’indirizzo di Francesco Covato“, attinto in zone vitali del corpo e quindi ucciso.
Contestata a Nazzareno Colace anche l’aggravante della premeditazione, avendo mantenuto “fermo e costante il proposito delittuoso durante un consistente lasso di tempo (intercorso tra l’attentato ai suoi danni del 19 settembre 1987 e l’effettiva realizzazione del delitto)”, nonché avendo provveduto a preparare accuratamente l’azione criminosa sino all’esecuzione dell’omicidio. Contestata pure l’ulteriore aggravante di aver commesso il delitto per motivi abietti e futili, consistiti nell’aver eseguito l’omicidio per vendicare il precedente agguato commesso da Francesco Covato ai danni di Nazzareno Colace il 19 settembre 1987. Il reato di omicidio è infine aggravato dalle finalità mafiose, avendo il delitto agevolato l’attività ‘ndranghetistica del clan Tripodi-Mantino attivo fra Portosalvo e Vibo Marina.
Anche il reato di occultamento di cadavere è aggravato dalle finalità mafiose. Fra le parti offese – che potranno quindi costituirsi parte civile – oltre a quattro familiari di Francesco Covato, la Dda indica pure la Provincia di Vibo Valentia, il Comune di Briatico e la Regione Calabria.