VIDEO | Il movente da ricercare nei continui maltrattamenti e soprusi a cui la vittima, uccisa nella frazione Piscopio di Vibo Valentia lo scorso 21 ottobre, avrebbe sottoposto moglie e figli dopo la fine del suo matrimonio. Giuseppe Carnovale e Michele Ripepi sono stati raggiunti da un fermo di indiziato di delitto
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Lascia il comando dell’Arma con lo sguardo smarrito, tra due ali di carabinieri e poliziotti. Si rivolge ai familiari, ma il messaggio è destinato soprattutto ai giornalisti, all’opinione pubblica: «‘U figghjiolu no’ cintra… ‘U figghjiolu no’ cintra… (Il ragazzo non c’entra… Il ragazzo non c’entra)» - ripete ossessivamente. Giuseppe Carnovale, 48 anni, si addossa tutta la responsabilità dell’omicidio del cognato Massimo Ripepi, provando a scagionare il nipote Michele, il figlio maggiore della vittima. Il pm Corrado Caputo però non gli crede.
La premeditazione
Gli elementi acquisiti nell’indagine lampo condotta in sinergia da Carabinieri e Polizia di Stato sono sufficienti all’emissione di un provvedimento di fermo d’indiziato di delitto a carico di entrambi. Carnovale, intorno alle 13 di domenica scorsa, in via Regina Margherita nella frazione Piscopio di Vibo Valentia, davanti alla sala giochi, avrebbe sparato e ucciso, mentre il nipote lo avrebbe aiutato nella missione di morte. «Abbiamo gli elementi per sostenere che vi siano stati degli accordi pregressi tra i due indagati» - spiega a margine della conferenza stampa il vice dirigente della Squadra mobile Christian Maffongelli.
Quei contatti sono uno degli elementi che inducono il pubblico ministero a contestare la premeditazione. Ve ne sono però altri: l’esecutore materiale del delitto, dopo essersi consegnato ai carabinieri, ha sostenuto di aver avuto un diverbio quasi accidentale con la vittima. D’altronde aveva portato con sé la pistola. Ha sostenuto, poi, di aver mirato alle gambe: ma ha sparato non una, non due volte, ma a ripetizione.
Il movente
«Il movente è da ricercarsi in ambito familiare» - evidenzia il comandante del Nucleo operativo radiomobile dell’Arma Luca Domizi. Alle spalle c’è un contesto di vessazioni alle quali la vittima avrebbe reiteratamente sottoposto l’ex moglie e i figli, dopo la fine del suo matrimonio. Maltrattamenti, persecuzioni, oggetto di più denunce, e causa di un primo tentativo d’omicidio che Massimo Ripepi subì nel giugno del 2017 ad opera del suo secondogenito, già reoconfesso e in carcere. L’ufficiale della Benemerita rammenta anche un episodio molto significativo: «Un alterco, nei nostri uffici, molto violento, risalente all’agosto scorso, tra l’uomo ucciso e alcuni suoi familiari, dopo un danneggiamento…».
«Il contesto dell’agguato è stato immediatamente chiaro» - ha spiegato il procuratore facente funzioni Filomena Aliberti. Le modalità dell’esecuzione – grazie ai puntuali rilievi dei carabinieri addetti alle indagini scientifiche, in attesa degli esiti dell’autopsia – anche: tutto è iniziato all’interno della sala giochi ed è finito fuori, a poche decine di metri. Una vicenda atroce, nella quale un figlio viene accusato di aver ucciso il padre in concorso con uno zio. Una vicenda sulla quale il pm Caputo con il suo fermo ha chiuso in 72 ore, grazie – ha evidenziato – alla «sinergia» tra Carabinieri e Polizia di Stato. Una «sinergia fondamentale che ha dato una risposta immediata ad un fatto di sangue gravissimo perché consumato in un contesto familiare e in pieno giorno» - ha evidenziato il capitano Gianfranco Pino.
Il compendio indiziario compresso nelle 16 pagine del fermo adesso deve passare al vaglio del gip. Gli indagati stamani hanno incontrato in carcere il loro avvocato, Adele Manno. Entro domani saranno davanti al giudice.
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