I Lavori pubblici sono sempre stati il punto forte, l’asso nella manica di Leonardo Portoraro, il boss di Francavilla Marittima assassinato da un commando di fuoco lo scorso mercoledì 6 giugno a Villapiana Lido. Era nel settore del cemento pesante, dell’asfalto, delle grandi opere civili che “Narduzzo” aveva “competenze” e voleva dominio. Una smania, un’ossessione che, probabilmente, gli è costata la vita. Uno strano destino quello di Portoraro, che è stato legato a doppio filo a criminalità e calcestruzzo, a partire dagli anni ’80, il tempo della grande ascesa del boss francavillese.

 

Portoraro fu "garante" delle grandi opere pubbliche nella Sibaritide agli inizi degli anni '90

Franco Pino, già capo indiscusso della ‘Ndrangheta cosentina, nelle sue deposizioni al maxiprocesso Galassia, ricorda che proprio Leonardo Portoraro fu il “garante” dei rapporti tra le più importanti Cosche calabresi che avevano messo mani sulla mega opera di cablaggio telefonico effettuata nella Sibaritide dalla società Sirti ad inizio degli anni ’90. Tangenti, assunzioni e appalti venivano scanditi da quello che da tutti, poi, venne riconosciuto in definitiva come il Ministro dei Lavori pubblici della ‘ndrangheta. Un ruolo, questo, che Portoraro si era ritagliato con perizia, ottenendo protezione dalle frange della Camorra trasferitesi nella Piana di Sibari e guidate dal boss Giuseppe Cirillo sia dalle famiglie reggine dei Morabito e dei Pelle, e cercando di scalfire il meno possibile gli equilibri nel territorio ionico cosentino, dove in quegli anni l’attività della criminalità organizzata era proliferata e la concorrenza alta. Insomma, un capolavoro di strategia, quello di Portoraro, che proprio Franco Pino testimonia nell’interrogatorio all’allora PM di Galassia, Salvatore Curcio. L’unico a tenere testa a "Narduzzo", nell’affaire Sirti, fu Santo Carelli, boss di Corigliano che alla fine, a seguito di un lungo summit tenutosi proprio a Cosenza alla presenza delle più importanti famiglie calabresi, ottenne che venissero riconosciute anche a lui delle somme di denaro sui lavori.

 

La gallina dalle uova d'oro: la nuova SS 106

In trent’anni di attività criminale, Portoraro ha costruito la sua figura di boss specializzato in appalti e lavori pubblici, mattone su mattone. Nel silenzio e sottotraccia pare abbia messo mano su quasi tutte le opere realizzate nel territorio dell’Alto Jonio, dividendo gli utili in modo equo con le altre famiglie del territorio. Ma la gallina dalle uova d’oro, dopo decenni di “gavetta”, sarebbe arrivata solo di recente. Il 9 Maggio scorso, al museo di Sibari, Regione Calabria e Anas, in pompa magna annunciano l’avvio dei lavori per la realizzazione dell’ammodernamento della Statale 106 nel tratto Sibari-Roseto. Un’opera da 1,3 miliardi di euro, sette anni di lavoro, oltre 1.500 posti per carpentieri, minatori, muratori, ruspisti e manovali: il più grande cantiere d’Italia e soldi sull’unghia. La più grande opera pubblica dello Stato in Calabria in casa del Ministro dei Lavori pubblici della ‘ndrangheta. Un boccone troppo appetitoso da condividere con tutti. Ed è stata forse questa presunta avidità ad essere fatale a Portoraro.

 

La Direzione distrettuale antimafia scandaglia ogni minimo dettaglio

La DDA di Catanzaro, diretta dal procuratore Nicola Gratteri, continua ad indagare, scandagliando con perizia e dovizia ogni minimo particolare. La verità sull’omicidio Portoraro, infatti, potrebbe restituire un quadro ancora più chiaro e completo sulle dinamiche criminali non solo nella Sibaritide ma nell’intero territorio calabrese.

 

LEGGI ANCHE:

La 106 e la pista dei lavori pubblici dietro l’omicidio del boss Portoraro?