Due richieste di condanna all’ergastolo sono state formulate dal pm della Dda di Catanzaro, Veronica Calcagno, nei confronti di Salvatore Lo Bianco, 52 anni, detto “U Gniccu” e il cugino Rosario Lo Bianco, 54 anni, detto “Sarino Pompa” (genero del defunto boss Carmelo Lo Bianco, detto “Sicarro”), entrambi di Vibo Valentia. Le richieste di condanna al carcere a vita arrivano dinanzi alla Corte d’Assise di Catanzaro dopo due ore di requisitoria da parte del pm in relazione all’omicidio dell’imprenditore e geologo Filippo Piccione, ucciso in via Dante Alighieri a Vibo Valentia la domenica di carnevale del 21 febbraio 1993, intorno alle ore 21:15. Dinanzi alla Corte d’Assise, presieduta dal giudice Alessandro Bravin, hanno poi concluso i legali di parte civile – gli avvocati Francesco Gambardella e Danilo Iannello che si sono associati alle richieste del pm – nell’interesse dei familiari della vittima: Concetta Maria Valente (moglie di Filippo Piccione), Francesca Piccione, Gianluca Piccione, Rocco Piccione, Domenico Piccione, Elisabetta Piccione (figli della vittima). Salvatore Lo Bianco è assistito dagli avvocati Giuseppe Orecchio e Vincenzo Gennaro, mentre Rosario Lo Bianco è difeso dall’avvocato Patrizio Cuppari.

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L’omicidio di Filippo Piccione, secondo l’accusa sarebbe stato deciso dai vertici della “Società maggiore” del “locale” di ‘ndrangheta di Vibo Valentia e più precisamente per volontà di Carmelo Lo Bianco (“Piccinni”), Carmelo Lo Bianco (“Sicarro”), Leoluca Lo Bianco (“U Rozzu”), Vincenzo Lo Bianco, Antonino Lo Bianco (tutti deceduti), nonché per volere di Michele Lo Bianco, Domenico Lo Bianco, Paolino Lo Bianco, Vincenzo Barba, Filippo Catania e Antonio Franzè, che avrebbero conferito il mandato omicidiario.

Coinvolti nel fatto di sangue – secondo l’accusa rappresentata dal pm Annamaria Frustaci – anche Nicola Lo Bianco (cl. ’72, figlio di “Sicarro”) e Antonio Grillo, detto “Totò Mazzeo”, il primo vittima della “lupara bianca”, il secondo deceduto.

Stralciate dalla Dda le posizioni di: Michele Lo Bianco, 76 anni, detto “U Ciucciu” (fratello di Sicarro), Domenico Lo Bianco, 82 anni, Filippo Catania, 73 anni, Antonio Franzè, 58 anni, Paolino Lo Bianco, 59 anni (detenuto per Rinascita Scott), Vincenzo Barba, 72 anni (anche lui detenuto per Rinascita Scott) per i quali si procede quindi separatamente.

Le accuse

Filippo Piccione era stato ritenuto dal clan Lo Bianco coinvolto nell’omicidio di Leoluca Lo Bianco (cl. ’68) avvenuto l’1 febbraio 1992 in contrada Nasari a Vibo, freddato con colpi di fucile partiti dalla proprietà di Piccione. Un fatto di sangue, quest’ultimo, rimasto impunito e per il quale non vi è alcuna certezza di una responsabilità da parte di Filippo Piccione. Tuttavia, la convinzione da parte dei Lo Bianco circa un coinvolgimento di Filippo Piccione nell’omicidio di Leoluca Lo Bianco avrebbe portato alla decisione da parte del clan di eliminare il geologo vibonese.

In particolare, Antonio Grillo, alias “Totò Mazzeo” (deceduto e che aveva avviato una clamorosa collaborazione con la giustizia sottoscrivendo alcuni verbali acquisiti nel processo), e Rosario Lo Bianco avrebbero fatto da “palo”, avvertendo gli esecutori materiali in ordine agli spostamenti della vittima designata. Salvatore Lo Bianco, detto “U Gniccu”, (fratello di Leoluca Lo Bianco assassinato l’anno precedente) sarebbe stato accompagnato sul luogo del delitto dal cugino Nicola Lo Bianco (figlio del boss Carmelo Lo Bianco, alias “Sicarro”). Sia Salvatore Lo Bianco che Nicola Lo Bianco avrebbero indossato maschere di carnevale. A sparare i colpi di pistola all’indirizzo di Filippo Piccionea due passi da piazza Municipio e nei pressi dell’abitazione della vittima, sarebbe stato Salvatore Lo Bianco (“U Gniccu”). Le contestazioni per Salvatore e Rosario Lo Bianco sono aggravate dalla premeditazione e dalle finalità mafiose.