L’Italia ha smesso di cantare dai balconi, perché sotto i bombardamenti non si canta. E il coronavirus ci sta bombardando a tappeto. Sta rielaborando le priorità in senso darwiniano: adattarsi e sopravvivere. La legge meno “umana” che ci sia è ora l’unica che abbia un senso. Canzoni, apericena in chat con gli amici e cazzate varie servivano forse ad illuderci 10 giorni fa che la bufera sarebbe passata in fretta. Ma di fronte a mille morti al giorno solo in Italia e centinaia di migliaia di contagi non c’è flashmob che tenga. Anche “andrà tutto bene” suona orami fasullo, perché non sta andando bene per niente. Quando ci sono file di camion militari carichi di bare, come accade in Lombardia, dire che andrà tutto bene è uno schiaffo a chi ha già perso i propri cari.

 

Per troppo tempo ci siamo illusi che il nostro primato evoluzionistico fosse inattaccabile, che la storia delle pandemie fosse solo una nozione scolastica da tenere a mente. Eppure è già successo molte altre volte che il mondo venisse ridisegnato da germi invisibili. Non è un caso che “avere paura” in calabrese si dica “spagnarsi”, termine che, sebbene preesistente, secondo alcuni ha trovato nuova forza etimologica dopo l’epidemia di influenza spagnola che tra il 1918 e il 1920 uccise decine di milioni di persone nel mondo, con 400mila vittime in Italia. L’avevamo dimenticato. Ce l’ha ricordato la Natura con un promemoria che segnerà questa generazione in maniera indelebile.

 

Ma col tempo, è certo, l’Umanità dimenticherà di nuovo tutto, riprendendo a correre verso il prossimo burrone. In pochi sanno, ad esempio, che nel permafost – il suolo ghiacciato che ricopre gran parte della Terra a latitudini artiche, come in Siberia – non ci sono solo i corpi mummificati di mammut e tigri con i denti a sciabola, ma anche “vecchi” virus e batteri che sono lì sotto da milioni di anni e ai quali non siamo più abituati da un bel pezzo. Il riscaldamento globale, che già rappresenta una minaccia immensa per le conseguenze più conosciute sul cambiamento climatico, ha anche questa freccia avvelenata al suo arco. Quando il permafrost si scioglie (e si sta sciogliendo) libera quello che conserva, compresi miliardi di tonnellate di gas serra, come il metano, che incrementa ulteriormente l’aumento delle temperature. Ecco, se Greta Tumberg non basta a convincerci che è il momento di cambiare rotta in maniera decisa, forse ci riuscirà la paura di un nuovo virus. Continuare a credere che nulla possa accaderci solo perché ci illudiamo di essere i padroni incontrastati della Terra è folle, per un semplice motivo: non lo siamo affatto.

 

Il nostro pianeta esiste da 4 miliardi e mezzo di anni. Se si dividesse tutto questo tempo in un orologio ipotetico di 24 ore, la specie umana apparirebbe sulla scena alle 23.58. In altre parole, rispetto all’intera storia del nostro pianeta, siamo qui da appena due minuti. E abbiamo già fatto un casino pazzesco.
Dalla pandemia di Covid-19 stanno venendo per ora solo cose brutte, bruttissime. Ma in futuro, quello che stiamo attraversando potrebbe anche rappresentare un nuovo inizio, un’alba di consapevolezza che sinora abbiamo eluso concentrandoci su priorità che si sono miseramente sbriciolate in questo frangente.

 

Con le auto inutilizzabili e parcheggiate sotto casa perché non c’è nessun posto dove andare, forse rifletteremo meglio su cosa ci serve davvero: un sistema sanitario efficiente, nuove tecnologie alla portata di tutti, relazioni umane vere, meno conflitti, nessuna guerra. Quando tutto sarà finito probabilmente la corsa al profitto tornerà a dettare l’agenda dell’Umanità, le disuguaglianze cresceranno ancora e la distruzione indiscriminata della natura continuerà. Se davvero vogliamo che quel “tutto andrà bene” abbia un valore, smettiamola di scriverlo su Instagram e diamogli un senso mettendo a frutto questa durissima lezione che siamo costretti a seguire fino in fondo.


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