L’hanno vista crescere i suoi stupratori. E mai, da dietro le sbarre, hanno potuto incrociare lo sguardo fiero della donna che li ha osservati senza mai esitare, per tre lunghi processi, e che ieri, finalmente, li ha visti condannare. La Cassazione ha respinto il ricorso dei legali degli imputati, confermando la pena di 7 anni di reclusione per Maurizio Hamanan, Antonio Cianci, Antonino Cutrupi, Giuseppe Chirico e di 7 anni e 8 mesi per Fabio Piccolo. Poco, troppo poco, ma una prima, flebile vittoria per Anna Maria, annientata nel corpo, ma non nell’anima. Anche se nessun giudice potrà schiarire l’inferno di ricordi, intrisi di stupri e vessazioni, durato tre lunghi anni e iniziato nel 1999, quando Maria aveva solo 13 anni.  Sadici rituali perpetrati a San Martino, frazione di Taurianova, nell’indifferenza, anzi, nell’acquiescenza di un’intera comunità. Che sui rotocalchi, arrivarono a dire che “li aveva provocati”. Che a una “brava figghiola”, certe cose, non succedono. Nel 2002, però, cambia qualcosa.  Al compimento dei 15 anni, i cinque torturatori, alzano il tiro. Vogliono un giocattolo nuovo, e le chiedono l’indicibile. Il branco non si era saziato delle  violenze, dei ripetuti stupri, delle botte. Non bastava nemmeno l’aver annientato nel giro di tre anni, una poco più che bambina, riducendola a muta concubina alla mercé dei loro istinti più bassi. Volevano spartire la colpa. Renderla complice oltre che vittima, facendosi consegnare la sorella minore. Fu allora che Anna Maria Scarfò alzò la testa per non riabbassarla mai più. Nel 2002 si rivolge ai carabinieri. La donna entra nel programma di protezione testimoni. Un cammino difficile, lungo e tortuoso, che passa anche per tre gradi di giudizio, terminato ieri.  Ma il “quarto grado”, la cui sentenza corre nel chiacchiericcio della comunità, e nutre la maldicenza, per Anna Maria Scarfò ha già espresso da tempo la propria, intima condanna.