«Ho posto la questione morale in tutta la massoneria italiana». Giuliano Di Bernardo ha lasciato il Grande Oriente d’Italia nel 1993. Ne ha denunciato le «inquietanti compromissioni e reticenze» e le infiltrazioni mafiose di cui era stato messo a parte da Ettore Loizzo, ingegnere e Gran Maestro calabrese scomparso da anni. Il ritorno di Di Bernardo ha provocato un terremoto nella fase di avvicinamento alle votazioni per il rinnovo delle massime cariche del Goi, tormentato da una profonda spaccatura sul tema dell’antimafia. È bastata una lettera inviata a tutte le logge del Paese. Scelta che lo stesso ex capo del Grande Oriente considera – in un’intervista ad Antimafia Duemila  quantomeno irrituale: «Non è normale che un ex Gran Maestro, dopo trent’anni, senta il dovere di scrivere una lettera a tutte le logge del Grande Oriente d’Italia. Perché l’ho fatto? Per una sola ragione: il richiamo alla morale. Purtroppo negli ultimi trent’anni in cui sono stato fuori dal Goi, che ho sempre continuato a seguire, mi sono reso conto che i vertici stavano portando l’istituzione verso finalità che con la massoneria non hanno nulla a che fare». Si torna dunque alle «compromissioni e reticenze» denunciate trent’anni fa. «Ho avvertito – spiega Di Bernardo – il bisogno di richiamare tutti al rispetto dei princìpi che sono il fondamento stesso della massoneria. L’attuale Gran maestro (Stefano Bisi, ndr) ha assunto un atteggiamento di negazionismo: nega le infiltrazioni malavitose, nega la corruzione e usa la giustizia massonica nei confronti di coloro che sostengono il contrario. Questo non è corretto perché rischia di far chiudere gli occhi su una realtà che dal mio punto di vista sta diventando sempre più grave».

Di Bernardo non cita esplicitamente l'episodio, ma la memoria corre a un'audizione di Stefano Bisi davanti alla Commissione antimafia presieduta da Rosy Bindi. In quel caso, Bisi glissò sullo scioglimento della loggia Rocco Verduci di Gerace: fece riferimento a vizi massonici, senza citare le infiltrazioni malavitose. Episodio che pare confermare le accuse di negazionismo. 

«Oggi una situazione più grave rispetto a trent’anni fa»

Di Bernardo abbraccia nel ragionamento passato e presente; le sue considerazioni sono trancianti. «Quando io mi sono dimesso – spiega – non esistevano casi eclatanti di attività criminose. C’era stato il caso del sindaco di Castelvetrano che era massone ed era stato arrestato e giudicato per i suoi presunti rapporti con la mafia. Io ho preso la decisione di dimettermi sulla base di dirette informazioni che ho avuto dai vertici del Grande Oriente in Calabria e in Sicilia. Oggi la situazione è molto più grave di allora: già da almeno sei anni vi sono casi eclatanti di connessioni con la mafia di fratelli di alcune logge siciliane».

Lasciare il Goi significava (e significa) «rinunciare a privilegi che pochi hanno», ma Di Bernardo non aveva scelta perché, a suo dire, aveva potuto «toccare con mano l’esistenza di infiltrazioni malavitose che ponevano un problema morale di grande importanza. Non avrei mai potuto essere il Gran Maestro di uomini infiltrati nella massoneria che portano avanti il progetto di società criminose».

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«Solo la massoneria italiana ha certi problemi: forse perché è infiltrata dalla ‘ndrangheta?»

I casi siciliani dimostrano che ci sono «situazioni evidenti davanti alle quali l’atteggiamento dei vertici è stato quello di minimizzare». E invece, per Di Bernardo, non è tempo di sottovalutare minacce e intromissioni che si innestano su un passato in cui gli atteggiamenti di chiusura hanno sollevato sospetti. Primo capitolo: la richiesta degli elenchi da parte della Commissione parlamentare antimafia guidata da Rosi Bindi ha trovato nel Goi di Stefano Bisi un atteggiamento di chiusura. «La richiesta degli elenchi – spiega Di Bernardo – era un provvedimento lecito. Il fatto di non volerli fornire fa un po’ riflettere e immaginare che si voglia nascondere qualcosa. Tutte le massonerie del mondo non hanno i problemi della massoneria italiana: forse perché non sono infiltrate dalla ‘ndrangheta e dalla mafia e sono società aperte e trasparenti? Perché in Italia si continua ancora a nascondere? Nasce il sospetto che si faccia qualcosa di illecito che non si vuole far conoscere».

Nel processo ‘Ndrangheta stragista, l’ex Gran Maestro ha ricordato le parole di Loizzo e il suo avvertimento che in Calabria le logge infiltrate erano 28 su 32. Alla richiesta di una proiezione sui numeri odierni Di Bernardo glissa. Ricorda però la sua scelta di rivolgersi a Londra per denunciare quei fatti e lasciare il Goi. E rievoca il rapporto con Agostino Cordova, procuratore di Palmi autore della grande inchiesta sulle logge deviate nel 1992. «Mi chiese l’elenco degli iscritti alle logge calabresi e io acconsentii perché pensai che avrei potuto conoscere casi di massoni legati alla malavita nella mia obbedienza. Poi tornò con la richiesta degli elenchi di tutte le logge d’Italia e questo non gliel’ho dato perché avrei dovuto chiedere l’autorizzazione alla Gran Loggia. Allora due giorni dopo tornò con un mandato di sequestro».

Massoneria deviata e ‘ndrangheta al Nord, l’intuizione di Cordova

Cordova, secondo Di Bernardo, «aveva capito che attraverso le logge massoniche la ‘ndrangheta conquistava le regioni del Nord Italia. Aveva avuto questa intuizione che si è rivelata esatta negli anni successivi. Oggi nessuno ne dubita». Così come nessuno dubita più dell’esistenza di infiltrazioni mafiose né delle peculiarità della massoneria calabrese rispetto alle altre. È un passaggio che aiuta a ipotizzare scenari legati alle prossime elezioni e alla scelta del Gran Maestro che succederà a Stefano Bisi. «Quando si dice che nell’elezione del Gran Maestro del Goi la Calabria ha un ruolo determinante – evidenzia Di Bernardo – lo si dice perché la Calabria ha referenti nelle logge di tutte le regioni d’Italia. Non è solo una questione numerica ma anche di influenza».

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I calabresi iscritti al Grande Oriente sono tanti e hanno rapporti ramificati e solidi. Anche per questo gli equilibri dipendono da ciò che si agita tra il Pollino e lo Stretto e rimbalza inevitabilmente nei discorsi dei “grembiulini” di tutto il Paese. Assieme al pericolo di rapporti oscuri all’ombra dei templi massoni. Cambiano i tempi e nascono nuovi pericoli. «Quando io sono stato iniziato nel 1962 – chiosa Di Bernardo – questi termini che usiamo oggi non esistevano: a nessuno poteva venire in mente che ci fosse un infiltrato della ‘ndrangheta o della mafia in massoneria». Oggi la questione morale è pane quotidiano di una campagna elettorale infuocata.