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Quattro anni e mezzo. È questa la condanna rimediata dall'ex consigliere regionale Antonio Rappoccio, accusato di associazione per delinquere finalizzata alla truffa elettorale. Rappoccio, invece, è stato assolto dal reato di peculato. Dopo il suo arresto, avvenuto su provvedimento del gip a seguito di richiesta di misura cautelare del pg Scuderi (che avocò l'indagine), Rappoccio lasciò il Consiglio regionale e poi tornò in libertà. Nella sostanza, per la procura generale, Rappoccio sarebbe stato a capo di un’associazione composta da soggetti a lui vicini, allo scopo di promettere posti di lavoro in cambio di voti. Un sistema collaudato, attraverso delle selezioni che avrebbero dovuto portare numerose assunzioni. Cosa mai avvenuta. Il tutto venne fuori grazie ad alcuni articoli apparsi sul quotidiano Calabria ora e successivamente con gli esposti presentati dall'avvocato Aurelio Chizzoniti.
Rappoccio aveva ideato un ingranaggio quasi perfetto: creare delle società (Alicante, Iride Soldare e, da ultimo Sud Energia) con l’obiettivo di bandire falsi concorsi per centinaia di posti di lavoro in vari settori, come ad esempio il fotovoltaico. Tutto veniva pensato nei minimi dettagli: dalle lettere di convocazione fino alle prove scritte. Arrivati agli orali, però, qualcosa sempre s’inceppava. E quelle graduatorie che dovevano produrre posti di lavoro, diventavano una chimera. Ma c’era un prezzo salato da pagare per poter anche solo sperare di essere assunti: oltre al pagamento di 15 euro prima (iscrizione all’Alicante) e 20 euro dopo (partecipazione al concorso) – quote per le quali è stato contestato il reato di truffa – Rappoccio imponeva, assieme ai suoi sodali, di votare per lui.
Venivano quindi date delle schede che comprendevano cognome e nome, numero di telefono, scuola nella quale si votava e numero di sezione. Ciò consentiva un controllo capillare del voto. E se le “promesse” non coincidevano con i risultati, si perdeva anche la speranza di essere assunti. Chi manteneva gli impegni, però, poteva pensare di farcela. Tanto da ottenere – in qualche caso – anche delle lettere con cui si annunciava una fantomatica assunzione a tempo indeterminato.
Ora, dopo una lunghissima istruttoria dibattimentale, la discussione di accusa e difesa e quindi la sentenza con la condanna a quattro anni e mezzo di carcere.
c.m.