Petilia Policastro, provincia di Crotone. È il 13 giugno del 2002 quando Lea Garofalo, la cui storia è stata raccontata nel corso della di una delle puntate della trasmissione Mammasantissimasi presenta al comando stazione carabinieri e rende dichiarazioni contro la malavita locale. Accusa, tra gli altri, il fratello Floriano, implicato in un vasto traffico di droga, ma soprattutto l’ex convivente Carlo Cosco, che aveva invitato più volte, inutilmente, a cambiare vita. Parla di scambi di droga, ma anche di fatti di sangue. Viene condotta al cospetto dei pm antimafia di Catanzaro: il 31 luglio successivo, assieme alla figlia Denise, viene ammessa al programma di protezione.

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Trascorrono quattro anni. Siamo nell’ottobre del 2006: Lea Garofalo rinuncia alla protezione. Il suo legale, l’avvocato Annalisa Pisano, prima chiede al Servizio centrale di rettificare quella dichiarazione e di mantenere così la tutela della donna e della bambina. Successivamente, impugna prima al Tar, quindi al Consiglio al Stato, che il 16 ottobre del 2007, ripristina la protezione.
Il 27 giugno del 2008 l’avvocato Pisano, a seguito di contrasti insorti con Lea Garofalo, la quale avrebbe inteso assecondare il desiderio della figlia di riavvicinarsi al papà, rinuncia all’incarico

Dieci mesi dopo, il 9 aprile 2009, Lea chiede di lasciare nuovamente al programma di protezione. E, circa un mese dopo, quindi il 7 maggio 2009, si consuma il tentativo di rapimento a Campobasso, da parte di un sedicente elettrotecnico. Si tratta invece di Massimo Sabatino, entrato in contatto con Carlo Cosco.

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La trappola mortale

Il 24 novembre Lea viene attirata in un trappola, a Milano, da Carlo Cosco, con la scusa di parlare del futuro della figlia. La donna viene uccisa in un appartamento da Vito Cosco, fratello di Carlo. Il corpo viene portato via da Massimo Sabatino, lo stesso uomo che tentò di rapirla nel maggio precedente, Rosario Curcio e Carmine Venturino, già fidanzato di Denise.  «Appena saliti nell'appartamento... - racconterà Venturino, diventato poi collaboratore di giustizia - come abbiamo acceso la luce... c'era il cadavere di Lea Garofalo per terra... e aveva un divano addosso... l'abbiamo girata e aveva dei colpi in faccia, aveva i vestiti tutti strappati... aveva un laccio verde con il quale era stata strangolata... e un lenzuolo intorno al collo». 

«Abbiamo sigillato uno scatolone con lo scotch, abbiamo legato il cadavere in modo che stesse nello scatolo, abbiamo messo lo scatolo nel bagagliaio della macchina».  È in un quartiere di Monza che il corpo di Lea viene dato alle fiamme e quasi completamente distrutto. «C'era un fusto, uno di quelli che si usano per mettere la benzina dentro, lì abbiamo rovesciato il cadavere di Lea Garofalo». Lì viene bruciato il corpo «fino a che resta soltanto il busto e metà delle cosce...».

Gli arresti e la sentenza

Nell’ottobre del 2010 Dda di Milano e carabinieri arrestano tutta la banda. Il processo di primo grado si concluderà con la condanna all’ergastolo per tutti gli imputati chiamati a rispondere di sequestro di persona, omicidio e distruzione di cadavere.

Durante il processo d’Appello, Venturino decide di collaborare con la giustizia e confessare. Le sue parole consentiranno di far ritrovare ciò che restava del corpo di Lea. «La sera praticamente abbiamo svuotato il fusto sul cemento, abbiamo alzato la grata di questo tombino e Cosco Vito con una pala ha spinto tutto dentro il tombino, la cenere e i frammenti ossei, tutto...»

Anche Carlo Cosco ammetterà le sue responsabilità. «Mi assumo la responsabilità dell'omicidio di Lea Garofalo. Io dò la mia vita per mia figlia in qualsiasi momento... merito il suo odio perchè le ho ucciso la madre... ma non merito di subire questa onta ingiusta... guai a chi sfiora mia figlia, io prego per ottenere un giorno il suo perdono»

Saranno confermati quattro degli ergastoli emessi in primo grado: per Carlo e Vito Cosco, Rosario Curcio e Massimo Sabatino. Venturino sarà condannato a 25 anni. Il 18 dicembre 2014 la Cassazione conferma la sentenza emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano

Lea Garofalo, la storia sconosciuta raccontata dall'avvocato