«Nessuno parli di millanterie degli imputati», avverte il magistrato che scansiona le vicende che riguardano l’imprenditore gioiese Rocco Delfino ed i presunti favori di Giancarlo Pittelli: «Cercavano di arrivare perfino al Consiglio di Stato» (ASCOLTA L'AUDIO)
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«Facile escamotage, la millanteria…», incalza il pm Annamaria Frustaci. Dopo i colleghi Antonio De Bernardo ed Andrea Mancuso, tocca a lei proseguire nella requisitoria della pubblica accusa al maxiprocesso Rinascita Scott. La componente del pool di Nicola Gratteri, anticipa le conclusioni a cui ricorreranno le difese nelle loro arringhe, mentre passa in rassegna le emergenze dibattimentali connesse alle ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa.
Il magistrato parte dalle intercettazioni di Giancarlo Pittelli, ex parlamentare, noto penalista, accusato di aver rafforzato, attraverso la sua condotta, pur non facendone organicamente parte, il clan Mancuso ed in particolare il superboss Luigi Mancuso.
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Metaforiche le vicende connesse alle sventure giudiziarie dell’imprenditore Rocco Delfino, che le Procure di Catanzaro e Reggio Calabria indicano come legato a doppio filo con i Piromalli-Molé di Gioia Tauro. In suo soccorso, secondo la prospettazione accusatoria, proprio Luigi Mancuso avrebbe schierato Giancarlo Pittelli, il quale non si sarebbe limitato a mettere in campo le sue competenze di giurista, ma avrebbe anche attivato i suoi canali nei circuiti istituzionali per risolvere, attraverso condotte fuorilegge, i grattacapi che lo stesso Delfino aveva con la magistratura. «Si erano attivati anche per arrivare al Consiglio di Stato…», tuona il pubblico ministero, che passa in rassegna le diverse intercessioni istituzionali profuse da Pittelli, per come compendiate dall’accusa, «dal colonnello dei carabinieri Giorgio Naselli all’ex giudice Marco Petrini».
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«Sono gli stessi imputati a parlare», spiega il pm Frustaci, evidenziando il pregio del contenuto autoaccusatorio delle intercettazioni telefoniche e ambientali. Sono proprio i «tratti sovrasegmentali» – dice richiamando proprio le allocuzioni dell’avvocato Salvatore Staiano, codifensore di Pittelli unitamente al collega Guido Contestabile – ad attribuire il sigillo della genuinità alle conversazioni captate dal Ros dei carabinieri, la cui attività rappresenta l’architrave della parte più delicata del maxiprocesso. «Non c’era millanteria, nessuno parli di millanteria, facile escamotage la millanteria… Nessuno millantava», si rivolge al Tribunale la titolare dell’accusa, che così completa il percorso, sul punto, avviato dal collega De Bernardo in apertura di requisitoria.
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Lo stesso pm Frustaci va giù duramente anche nell’evidenziare la sorprendente, e quindi clamorosa, ritrattazione di Marco Petrini, ex presidente della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro corrotto e reoconfesso, che in udienza ha affermato di «non riconoscersi» nelle dichiarazioni rese invece davanti ai pm di Salerno, attraverso le quali aveva inserito lo stesso Pittelli in un contesto di vicende corruttive. Petrini, per l’accusa, fu compulsato dall’ex parlamentare e avvocato per aggiustare i procedimenti patrimoniali pendenti a Catanzaro, mentre il colonnello Naselli fu coinvolto in relazione all’interdittiva antimafia che a Teramo gravava come una spada di Damocle sugli interessi imprenditoriali di Delfino e della sua MC Metalli. La radice di questo interessamento, sarebbe stata nella partnership tra i Mancuso ed i Piromalli. «Siamo una pigna, se ti fai male tu mi faccio male io…», diceva Delfino in una conversazione agli atti del processo e menzionata dal pubblico ministero. E peraltro «proprio a Luigi Mancuso, Pittelli rendicontava dell’evoluzione delle vicende a carico di Delfino pendenti su Teramo, per quale motivo?», domanda con tono tutt’altro che retorico il pubblico ministero.