Nell’inchiesta "Via col vento" coinvolti anche i boss Pantaleone Mancuso “Scarpuni” e Rocco Anello. L’indagine ha acceso i riflettori sul business nei parchi di Amaroni, Cutro e San Biagio
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Quattro condanne ed un’assoluzione. Questo il verdetto del Tribunale collegiale di Catanzaro per gli imputati dell’operazione antimafia denominata “Via col Vento” che mira a far luce sugli affari dell’eolico. Ad 11 anni di reclusione sono stati condannati: Rocco Anello, 60 anni, di Filadelfia, ritenuto a capo dell’omonimo clan (difeso dall’avvocato Sergio Rotundo); Pantaleone Mancuso, 60 anni, di Limbadi (residente a Nicotera Marina ed attualmente detenuto), detto “Scarpuni” (difeso dagli avvocati Francesco Calabrese e Francesco Sabatino); Romeo Ielapi, 49 anni, imprenditore di Filadelfia (difeso dagli avvocati Sergio Rotundo e Mariantonietta Iorfida). A 7 anni di reclusione è stato condannato Riccardo Di Palma, 49 anni, di San Lupo (Bn) (difeso dall’avvocato Giovanni Spina), mentre è stato assolto per non aver commesso il fatto Mario Scognamiglio, 44 anni, di Napoli, difeso dagli avvocati Antonio Bucci e Flavio Ambrosino del Foro di Napoli.
L’indagine ha acceso i riflettori sul business dell’eolico nei parchi di Amaroni, Cutro e San Biagio con la presunta ingerenza dei clan Mancuso, Anello e Trapasso nei milionari lavori degli impianti e nella guardiania delle zone. Gli imprenditori sarebbero stati costretti a subappaltare i lavori inerenti la realizzazione dei parchi ad imprese controllate dalle cosche, anche aggirando il regolamento contrattuale sottoscritto dalle imprese aggiudicatarie. Fondamentali nell’attività di indagine le intercettazioni telefoniche ed ambientali. Pantaleone Mancuso era in particolare accusato di estorsione e illecita concorrenza con minaccia volti al controllo, o comunque al condizionamento, del mercato relativo alle esecuzioni di opere pubbliche nei parchi eolici di diverse località calabresi, alcune delle quali ricadenti sotto il controllo della cosca mafiosa dei Mancuso di Limbadi, della quale “Scarpuni” è ritenuto un esponente apicale. I reati sono aggravati dalla modalità mafiose.
Secondo l’accusa, il soggetto chiave delle relazioni fra le varie cosche interessate ai lavori era da identificarsi nell’imprenditore Giuseppe Evalto, 58 anni, nativo di Spilinga ma residente a Pizzo, la cui posizione è rimasta di competenza della Dda di Reggio Calabria ed è stato condannato in abbreviato in primo grado a 11 anni e 4 mesi.
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