Infettava un solo ovino con i batteri della brucellosi, quindi consegnava la provetta al veterinario mandato dall’Asp il quale, una volta giunto in ufficio, metteva nero su bianco che i capi infetti erano in un numero elevato, permettendogli di «prendere i soldi», ovvero gli indennizzi previsti da Ministero dell’Agricoltura. Poi, però, gli ovini non venivano abbattuti e finivano al macello, così rivendendo le carni e lucrandoci. Non aveva solo il carisma del capo e il sangue freddo dell’assassino di professione, Andrea Mantella era uno dal cervello fino che con le truffe ci sapeva fare. E alcune di queste non si potevano consumare senza l’ausilio di colletti e camici bianchi compiacenti. «Queste truffe – dice l’ex padrino emergente di Vibo Valentia ai pm antimafia di Catanzaro il 14 ottobre del 2016 – le ho fatte numerosissime volte…».

Le sue dichiarazioni vengono assorbite nell’indagine Maestrale-Carthago, firmata dal procuratore Nicola Gratteri e dai pm Antonio De Bernardo, Annamaria Frustaci e Andrea Buzzelli. Il collaboratore di giustizia il cui pentimento ha provocato un autentico terremoto in seno alla ‘ndrangheta del Vibonese, fa nomi e cognomi, indica pratiche e getta ombre sinistre in ordine alle sue entrature anche in ambito sanitario, utili a favorire gli illeciti nella sua attività imprenditoriale quale allevatore.

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C’è, dunque, un’altra criminalità organizzata, più subdola e sofisticata, che i carabinieri denudano con le loro indagini. Una ‘ndrangheta che va oltre i morti ammazzati, i delitti violenti, il racket ed i traffici di droga e di armi, e che rientra nell’alveo dei patti scellerati con la società bene, quella che pone firme che pesano, che certifica, che concorre ad arricchire le “famiglie”. Maestrale-Carthago mette in luce le consuete truffe sui fondi europei in agricoltura, sui falsi braccianti e sui carburanti agricoli, ma anche meccanismi fraudolenti in settori finora quasi inesplorati, come ad esempio il comparto marittimo. E, in questo caso, non giungono in soccorso degli inquirenti le dichiarazioni dei pentiti, ma le attività tecniche di intercettazione messe in campo in modo penetrante dai militari dell’Arma.

Esiste, per chi non lo sapesse, la cosiddetta «cassa marittima», dalla quale si attinge una indennità di malattia riservata, appunto, ai lavoratori del settore marittimo, che ne beneficiano in caso di «inidoneità all’imbarco conseguente a malattia comune». Nel momento in cui si accede all’indennità prevista dalla cassa marittima (dal 50% al 75% della retribuzione media giornaliera dei 30 giorni precedenti allo sbarco), si beneficia anche del cosiddetto «bonus fiscale».

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Fatta questa premessa andiamo alla storia, cioè alla truffa. Siamo a cavallo tra le estati del 2018 e del 2019 ed i carabinieri si concentrano su un gruppo di uomini di Briatico, a vario titolo legati alla criminalità organizzata locale. Li ascoltano e scoprono che vengono mantenuti dalla “cassa marittima”: malati immaginari, affetti da patologie inesistenti, la cui unica preoccupazione fosse quella di esorcizzare una improvvisa visita fiscale. «Perché così io fino alle cinque sono libero, perché viene il medico, non sto scherzando, c'è la segnalazione sia a me che a Franco…», diceva uno degli indagati. E un altro: «Oh! Che c’è il medico! Va a casa che sta arrivando!». E un altro ancora: «E perché sono cambiate le leggi, che vuoi che ti dico! Ieri, ieri sera è andato dal il fratello di Leonardo, lo ha trovato a casa e tutto, eppure lo ha mandato all'Inps a Vibo e questa mattina gliel'hanno chiusa (il riferimento è alla malattia, ndr)! Poi il dottore te la riapre! E ora vado a casa, perché sicuramente stasera viene qua, vuoi vedere?».

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Ore ed ore ad ascoltare, finché poi i carabinieri riavvolgono la matassa attraverso l’esame dei documenti. Scoprono che i certificati vengono tutti firmati da un medico «contiguo» a due dei marittimi malati immaginari, uno dipendente e l’altro addirittura socio di una piccola compagnia di trasporti via mare. E scoprono che il sistema avrebbe beneficiato anche della presunta condotta compiacente di un impiegato dell’Inps. Il meccanismo truffaldino sarebbe stato raffinato. Ecco cosa scrivono i pm antimafia di Catanzaro: «Nell’ambito della vicenda relativa alla truffa aggravata posta in essere dagli indagati in danno dell’Inps va ricondotto anche il ramo di indagine che ha riguardato l’aspetto relativo al fittizio rigonfiamento dell’importo delle buste paga dei percettori dell’indennità di “cassa marittima”, al fine di ottenere una maggiorazione dell’indennità che questi si prefiggevano di percepire, poiché, per come accennato in premessa, tale indennità (cassa marittima) è proporzionale alla retribuzione effettivamente goduta (busta paga) alla data di manifestazione della malattia». Chiaro il sistema, agli inquirenti non restava che approfondire. E così affioravano, a carico degli indagati, «fatti corruttivi, accessi abusivi ai sistemi telematici e falsi», per frodare la previdenza e farsi mantenere dallo Stato.