C’è un tratto caratterizzante che emerge con forza dalle motivazioni della sentenza “Gotha” con riferimento all’avvocato Antonio Marra: il suo pragmatismo. L’avvocato non è uno di quei personaggi che ama perdersi in chiacchiere e sofismi. Al contrario, quando affronta una discussione ama andare al sodo. Succede anche in occasione di una conversazione con Paolo Romeo, ritenuto dai giudici al vertice della cupola massonico-mafiosa della città di Reggio Calabria.

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È il 15 settembre 2011 e Antonio Marra esprime tutto il suo disappunto a Romeo, per il rischio concreto che loro possano essere associati a contesti di criminalità organizzata. Lo fa con un incalzare di domande a cui Romeo non fornisce mai una risposta vera, tanto da provocare la reazione di Marra: «Tu in queste cose certe volte mi deludi». Le sue perplessità riguardano i risultati che il progetto di Romeo sta portando al gruppo in termini di ritorno: «Che risultati abbiamo avuto?», si chiede Marra. Il presidente del Tribunale, Silvia Capone, scrive come l’avvocato si domandasse quale fosse diventano «il senso del loro agire, del loro affannarsi ad organizzare eventi culturali, come la festa del mare, nel farsi portavoce di istanze particolari, come quelli dei venditori ortofrutticoli nel progetto del centro agroalimentare, o degli abitanti di Gallico per la realizzazione del lungomare, verso i quali non coltivava alcun interesse effettivo». Nella quarta puntata del podcast è possibile sentire dalla viva voce di Antonio Marra la sua lamentela a Romeo: «Che risultati abbiano avuto, noi, di tutto quel tempo, di tutto quello sputtanamento? […] Che c**o me ne fotto di loro e dei loro problemi?».

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Marra considera un fallimento il progetto politico “Noi Sud”, da cui sia lui che Romeo erano stati di fatto estromessi a causa di quelle che il Tribunale definisce «le ambiguità di Alberto Sarra». Quella, di fatto, era una realtà che «violava le regole del loro agire, che invece erano quelle della ‘Ndrangheta e cioè dell’operare in segretezza nascosti dietro un muro». Da qui le sue parole di fuoco che il podcast targato Diemmecom propone nella sua versione originale: «Oh. Allora io ti dico: "Va beh, domani è una realtà che cresce, ognuno deve tenere conto di questa realtà", lascia fottere che poi noi siamo dietro i rovi, che non ci interessa uscire nella piazza. Ci stiamo nascosti dietro il muro e aspettiamo. Allora io sono d'accordo se c'è una cosa di queste, ma non c'è, io non lo vedo. […] Non ci ha portato niente come visibilità, non in termini economici o in termini... Noi... Un fatto concreto che dà un risultato, che poi dopo ti puoi spendere per creare... Ecco, se oggi ci fosse e tu creavi il convegno con... con una cosa di queste che era agganciata dove i problemi del Sud, de... Allora ha un senso. Slegata in questo modo dal fatto politico che senso ha? Io non ti capisco, se me lo spieghi, per favore. Io parlo, parlo, ma tu non mi rispondi. Spiegamelo, così io capisco e sono più tranquillo. Io non sapevo ieri là, guardavo dove lo possiamo fare, dove... ma poi io dicevo: "Che noi veniamo qua per fare questo gran casino (Risatina) Per concludere che cosa?».

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Marra è convinto della necessità di sistemare i rapporti politici con Scopelliti e Zoccali, perché viceversa lui, Romeo e il resto del gruppo sarebbero stati troppo esposti: «Ti ho detto, tu anche... quando tu mi prendi in considerazione e mi dirai che io sono capace a ragionare. "Vedi che se non sistemi la situazione politica di Zoccali e di Scopelliti prima o poi ci inguaiamo noi". Non te l'ho detto? Certo, tu eri convinto, ci siamo messi dietro a quel carria landi [Espressione dialettale, nel senso di: persona poco affidabile] che non è stato capace di creare questa situazione. All'epoca eri convinto di fare, poi ti è passata la convinzione di farla, perché ti scatta il meccanismo che tu non puoi scendere a parlare... Ma questi, poi, sotto sotto menano, menano, menano e sempre continuano a rompere i coglioni e sempre continueranno a menare. Quando trovano il cristiano cretino che abbocca alle cose che gli dicono, noi ci inguaiamo. Se trova a uno che non abbocca, non abbocca. Ci inguaiamo politicamente, giudiziariamente, in tutte le maniere». Poi la frase chiave: «Questi devono sapere, come hai detto tu, siamo amici? Va beh, chiudiamola qua. Siamo nemici? Allora ci facciamo la guerra, chi può di più mena».

«Tutti dicono “c’è Paolo Romeo dietro”. Noi facciamo qualcosa a che titolo? Per rischiare solo? Perché se poi dall’altra parte non abbiamo niente di ritorno […] Ma hanno ragione perché siamo sempre in prima fila. Ma questi giustamente dicono “ma questi in tutte queste cose, se ci sono in tutte queste cose palesi, figuriamoci in quante cose nascoste ci sono. E sei la mente sempre e comunque». Poi un passaggio molto importante: «Molta gente quasi quasi ogni volta s’inchina per i rapporti che io ho con te, di riflesso». E riprende: «Io so la verità, ma non mi credono. È paranoia? Non ti rendi conto che il 50-70% dei nostri comportamenti li autorizza a pensare questo».

Quale, dunque, il ruolo di Antonio Marra? Una posizione di massimo rilievo, secondo i giudici. Un personaggio chiave analizzato, nella quarta puntata del podcast, da alcune tra le firme più prestigiose della cronaca giudiziaria calabrese che hanno commentato i passaggi salienti della sentenza.