Accende i riflettori anche sulla potenza di fuoco di uno del clan più spietati del Vibonese – i Loielo di Ariola di Gerocarne – la recente operazione antimafia Habanero portata a termine dalla Dda. Sono in particolare le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Walter Loielo, che il 4 marzo scorso è stato condannato a 20 anni di reclusione per aver ucciso il proprio padre Antonino Loielo, a far luce sull’arsenale del quale disponeva la consorteria di famiglia. E’ l’inchiesta Habanero a riportare infatti le inedite dichiarazioni rilasciate dal collaboratore Walter Loielo al pm della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci, ed agli investigatori della Squadra Mobile di Vibo Valentia. Viene così fuori il potenziale di fuoco del quale poteva disporre il clan Loielo, negli anni ’90 impegnato in una sanguinosa faida contro il clan Maiolo di Acquaro, successivamente – e sino all’attualità – contro il clan degli Emanuele.

Mitra e fucili interrati nel bosco

Per quanto riguarda le armi a nostra disposizione posso riferire di quelle che appartengono a mio cugino Rinaldo Loielo e che io stesso – ha dichiarato il collaboratore – ho provveduto a spostare dopo il suo arresto per la detenzione di un fucile e di una pistola, portandole via dal precedente luogo in cui erano custodite, ubicato sopra casa della nonna di Rinaldo. Rinaldo Loielo, cugino del collaboratore, è il figlio del defunto boss Giuseppe Loielo, ucciso insieme al fratello Vincenzo nel 2002 nei pressi dell’acquedotto di Gerocarne da un commando del quale hanno fatto parte il boss rivale Bruno Emanuele ed il suo braccio-destro Vincenzo Bartone (entrambi condannati in via definitiva all’ergastolo).

Le armi le ho portate in un bosco, insieme a Rinaldino Loielo, percorrendo la strada – ha spiegato il collaboratore – che va da casa di Rinaldo a Sorianello, passando dal luogo in cui tiene gli animali un vecchio signore che è zio degli Emanuele ma che non ha niente a che fare con loro. Una volta terminata la strada di cemento si arriva ad una curva a sinistra dove c’è una casa all’interno della quale scorre dell'acqua, ma non so dire se si tratta di un depuratore o di un acquedotto. A questo punto bisogna andare nel bosco dove ci sono due alberi che ho abbattuto per impedire ai cacciatori di passare da quella strada. Vicino a questi alberi abbattuti, molto più avanti, prendendo il sentiero accanto al fiume si arriva nel bosco dove ci sono degli alberi con le spine e dentro è nascosto un fusto con delle armi.

Rapine e omicidi con le armi dei Loielo

Walter Loielo afferma quindi di aver lasciato vicino ad un albero un “vecchio vestito quale segno di riconoscimentoper ricordarsi l’esatta collocazione del luogo dove si trovavano nascoste le armi segnalate alla polizia nel corso della collaborazione. All’interno del fusto, le armi da fuoco sono state così elencate e descritte da Walter Loielo: una pistola calibro 6, una pistola calibro 7, una pistola calibro 45 che Rinaldo Loielo mi ha detto essere stata già utilizzata per fare qualcosa, un fucile a pompa, un fucile automatico, una mitraglietta AK senza caricatore, una vecchia carabina, una doppietta tagliata, una doppietta con il manico rotto, un fucile sovrapposto, un boccaccio di cartucce”.

Walter Loielo aggiunge quindi altri due particolari inediti e significativi. Tra le armi nascoste nel fusto anche una pistola 9x21 portata via ad una guardia giurata durante una rapina nei pressi dellufficio postale di Sorianello. L’unica pistola portata via ad una guardia giurata nel corso di una tentata rapina si riferisce ad un episodio delittuoso avvenuto il 2 marzo 2015 a Sorianello quando tre persone a volto coperto ed armate di fucili da caccia erano riuscite a sottrarre la pistola d’ordinanza in dotazione alla guardia giurata, non riuscendo però a portare poi via il denaro trasportato dal furgone portavalori. I tre malviventi – che il collaboratore ha indicato agli inquirenti come appartenenti al clan Loielo e dei quali ha fatto i nomi – avevano infatti puntato le armi contro una delle guardie giurate impegnate nelle operazioni di consegna delle pensioni all'ufficio postale, intimandogli di gettare via la pistola d'ordinanza, senza accorgersi, tuttavia, che il denaro era rimasto nella disponibilità di un collega ancora a bordo del portavalori assieme all’autista che, intanto, aveva messo in moto il mezzo allontanandosi dal luogo della tentata rapina.

Walter Loielo ha infine spiegato che nel fusto contenente le armi erano stati nascosti pure dei walkie talkie messi lì da Rinaldo Loielo e che potevano servire per qualche omicidio”. Una dichiarazione significativa quella resa a verbale da Walter Loielo relativa ai walkie talkie in quanto lo stesso collaboratore, chiamato di recente a rendere la propria testimonianza nel maxiprocesso Maestrale, ha spiegato in aula che in occasione di un appostamento sotto un ponte di Soriano Calabro finalizzato a portare a termine l’omicidio di Domenico Zannino (ritenuto vicino al clan rivale degli Emanuele) sarebbe stato Filippo Pagano, cognato di Walter Loielo, che era con la sua macchina, ad avvertirci tramite un walkie talkie – ha dichiarato Loielo in udienza – che c’erano i carabinieri al posto di blocco vicino l’ospedale di Soriano”. Presenza dei militari dell’Arma che avrebbe fatto desistere i Loielo dall’uccidere nell’occasione Domenico Zannino.

Da sottolineare che Rinaldo Loielo (figlio del boss Giuseppe Loielo, ucciso insieme al fratello Vincenzo nel 2002 dagli Emanuele) e Filippo Pagano non figurano tra gli imputati del maxiprocesso Maestrale e neppure tra gli indagati dell’operazione Habanero (a differenza, in tale ultimo caso, di Rinaldino Loielo) ed hanno finito di scontare una condanna definitiva a 8 anni per la detenzione di una potente bomba che sarebbe stata ceduta dal boss Pantaleone Mancuso di Nicotera (alias “Scarpuni”) nel 2013 per alimentare lo scontro tra i Loielo e il clan Emanuele. Una vicenda, quest’ultima (unitamente alle intercettazioni in un bar di Nicotera Marina intercorse tra Mancuso, Loielo e Pagano) tornata di attualità poiché riportata nella recente operazione antimafia denominata “Portosalvo”, scattata nel maggio scorso, che vede Pantaleone Mancuso indagato quale mandante di un omicidio.