Mancano infermieri, mancano medici ma, soprattutto, mancano ambulanze. L'annus horribilis per i servizi di soccorso a Catanzaro è, senza ombra di dubbio, il 2020. Raggiungere il pronto soccorso in emergenza spesso può voler dire dover essere provvisti di un'auto propria o peggio dover contattare società private che effettuano il trasporto a pagamento, quando la centrale operativa del 118 risponde che nessuna ambulanza al momento è disponibile. E capita spesso nella stagione estiva, quando la quantità di soccorsi in emergenza aumenta esponenzialmente per via del caldo, dei malori, degli incidenti e dell'abbondante presenza di bagnanti sulle coste. 

Il sistema messo a dura prova

Aumenta la domanda di soccorso ma il sistema regge a stento, picconato da un combinato disposto che ha lasciato sul campo morti e feriti senza aver dimostrato finora capacità di reazione, anzi avviando al contrario una macelleria sociale dagli esiti assai imprevedibili. La gestione delle macerie è per ora affidata ad una terna commissariale, insediata ai vertici dell'Asp di Catanzaro dopo lo scioglimento per infiltrazioni mafiose.

Il prezzo della legalità

E il primo impatto con la macchina sanitaria si è rivelato tutt'altro che indolore. L'ente eredita dall'inchiesta Quinta Bolgia un parco autoambulanze ridotto a lumicino e con mezzi plurichilometrati. Il rischio guasto nelle fasi concitate del soccorso è sempre dietro l'angolo ma anche la possibilità che la situazione possa precipitare per l'assenza di medici e infermieri da quando diverse postazioni territoriali sono state smedicalizzate. A Maida, a Tiriolo e a Sersale è così ormai da tempo ma le difficoltà si sono di recente allargate a macchia d'olio. Così può capitare che anche a Catanzaro di notte manchi il medico o in altre postazioni sparse per la provincia. 

Macelleria sociale

Non ha di certo aiutato a riemergere da una condizione di forte criticità, la decisione di decurtare stipendi, di avviare procedimenti per il recupero di crediti e di sospendere indennità a tutto carico di operatori che passano intere giornate sulle ambulanze o sull'elisoccorso a svolgere attività delicatissime e che richiedono se non altro una certa quota di equilibrio. Proprio gli stessi che si sono visti recapitare notifiche per il recupero di crediti del valore anche di 120mila euro o che non sono più pagati da quasi un anno ma stretti nella morsa di un implicito ricatto dal momento che dimettersi significherebbe esporsi a una denuncia per interruzione di pubblico servizio. 

Doppia pressione

E così mentre provvedimenti di ripristino della legalità piovono sulle teste degli operatori di prima emergenza, il servizio si trova ad operare sotto una doppia pressione: quella psicologica e quella assistenziale. Dove non si arriva per mancanza di ambulanze, si sopperisce con l'elisoccorso, facendo alzare in volo mezzi aerei con a bordo personale che però non viene retribuito. Nelle ultime due ventiquattrore, a solo titolo d'esempio, l'elisoccorso ha effettuato una decina di voli al giorno; solo ieri sette tra cui anche due trasferimenti fuori regione ai centri grandi ustionati di Palermo e Catania per soccorrere due bambini. Ma nella lista ci sono annegamenti, malori in spiaggia, incidenti stradali.

Gli anelli deboli

Difficile, in questo contesto, capire fin dove il necessario ripristino della legalità può spingersi prima di cedere il passo alla responsabilità, quando in ballo c'è la vita umana e tutta la pressione di un passato da risanare viene scaricato sugli anelli più deboli della catena.