“Libro nero”, dalle intercettazioni di Tortorella emerge come il figlio del boss di Cannavò chiese la mazzetta all’imprenditore. Ma il reggente dei Tegano, poi ucciso, si oppose.
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Un’estorsione ai danni dell’imprenditore Pasquale Rappoccio, storicamente legato al clan Tegano. Fu questa la ragione alla base del confronto fra l’ex reggente della cosca di Archi, Paolo Schimizzi, e l’anziano boss di Cannavò, don Mico Libri. È quanto emerge dalle carte dell’inchiesta “Libro nero” che ha portato diverse persone in cella il 31 luglio scorso. A raccontare l’episodio è uno dei soggetti centrali dell’inchiesta, ossia l’odontoiatra Tortorella, ritenuto dagli investigatori personaggio intraneo alla cosca Libri e profondo conoscitore delle dinamiche criminali dell’intera consorteria mafiosa.
Quando Siclari disse che avrebbe parlato
È il 25 maggio del 2015 e, nello studio odontoiatrico di via San Francesco da Paola, a Reggio Calabria, Mimmo Tortorella discute con il cugino Tanino. Il discorso si sosta sull’imprenditore Pietro Siclari.
Tanino: Ah ho capito. Sono usciti tutti i guai da Pietro
Mimmo: Pietro Siclari ha incontrato non mi ricordo chi al Tribunale
Tanino: Eh
Mimmo: gli ha detto che se lo condannano glielo dice lui come sono le cose
Tanino: Perché? E Perché?
Mimmo: Perché se la sente che lo condannano, perché poi alla fine se lo condannano paga per tutti
Tanino: E che cazzo vuole?
Mimmo: Però gli volevo dire…
Tanino: Se lui ‘mbuscava, ‘mbuscava
Mimmo: Gli volevo dire io Pietro, ma tu da chi hai “mbuscato” che hai fatto il signore a Reggio?
Tanino: Le amicizie le ha
Mimmo: o hai fatto tutto con la corruzione e con, con i favori…
Il discorso si sposta da un imprenditore all’altro, ossia da Pietro Siclari a Pasquale Rappoccio, ex presidente delle squadre di volley e basket, Medinex e Viola, nonché ritenuto appartenente alla massoneria e già coinvolto in diverse inchieste. L’oggetto della discussione è la discoteca “Limoneto”, storico locale della movida reggina che, secondo le risultanze delle inchieste della Dda, fu rilevato da Siclari e Rappoccio, ma in realtà era nella disponibilità del boss Domenico “Mico” Condello e del cognato Bruno Tegano. Proprio quando si discute dell’affitto da pagare per il locale, Mimmo Tortorella avvia una discussione ricordando un episodio.
L’estorsione ai danni di Rappoccio
Mimmo: Una volta Peppe Libri, eravamo…
Tanino: Ma ora è in circolazione è questo…
Mimmo: Sì sì
Tanino (inc.) e fa bordello
Mimmo: Non so, a me non voglio manco che mi saluta ed io non lo saluto Tano. L’ho incontrato al bar Sant’Anna là alla Mimosa, ha detto non ho soldi qua e là, passava Pasquale (Rappoccio, ndr) gli ho detto io cercaglieli a Pasquale, ah ha detto, mi hai dato un’idea, glieli ha chiesti a Pasquale ventimila euro. Pasquale che ha pensato di fare? Di andare a dirglielo a Schimizzi no, e si è allontanato
Tanino: Loro abitavano appresso a Schimizzi
Mimmo: Sì, Schimizzi che ha preso… che ha pensato di fare, di andare da… (inc.) ha preso e gli ha detto: “Compare vostro figlio gli ha cercato ventimila euro a coso”, “e glieli ha dati?” “no”. “Se glieli ha cercati vuol dire che ha bisogno, che glieli diano”
Tanino: Figurati
Mimmo: Gli ha detto lui: “Però questa cosa la dobbiamo chiarire”, gli ha detto: “questa non è mazzetta in tutti i modi chiamiamola, diteglielo a Pasquale che ci deve dare i soldi”, cioè voglio dire, è andato a fare a fare un soldo di bene, questo ha… poi questo non è andato a dirgli, è una cosa che mi interessa, questa cosa la dobbiamo chiarire a tipo che loro gli prendevano la mazzetta, quello, Mico Libri, gli ha detto sì, chiariamola, perché Mico Libri non gli ha chiesto mai i soldi a Pasquale percé lui… (inc.) e Nino Votano uscivano Mico Libri, usciva… usciva con Pasquale
Tanino: Uhm insieme
Mimmo: inc… San Sperato… inc…
Tanino: Uhm e quindi non gli cercavano
Mimmo: Per cui non gli cercavano la mazzetta, anzi venivano qua sopra e lo proteggevano, quando va l’altro a dirgli allora gli dice lui cercatela. Lui crede, tanto se glieli chiedi tu a me devi dare la mia parte, io non compaio
Tanino: Certo
Mimmo: E si è messo nei guai di brutto con questa coda, allora, dieci anni fa. Ma lui ha sbagliato che pensava che poteva comandare il mondo Tanino e lui ha sbagliato, quando se ne sei andato a Crotone cretino e gli fai… a parte tutto, tu vendi strumenti a te chi ti chiama a fargli la clinica chiavi in mano e che ti metti sotto cinque milioni di euro
In sostanza, dunque, dall’intercettazione emerge come Giuseppe Libri, nel 2005, incontrò Tortorella nei pressi del bar “Mimosa” e si lamentò delle sue difficoltà economiche. Dato che passava di lì Rappoccio, Tortorella gli consigliò di chiedere i soldi a lui, cosa che Libri fece, richiedendo 20mila euro. Fu Rappoccio a rivolgersi a Paolo Schimizzi, il reggente del clan Tegano scomparso per un caso di lupara bianca nel 2008. Una morte che, secondo alcuni appartenenti al clan, sarebbe maturata all’interno dello stesso casato mafioso, a causa degli atteggiamenti di Schimizzi. La sfrontatezza criminale di Schimizzi si coglie proprio nel successivo colloqui che il giovane rampollo ebbe nientemeno che con “don” Mico Libri, storico boss della ‘ndrangheta, al quale chiese spiegazioni circa la richiesta di denaro fatta da suo figlio a Rappoccio. Una richiesta che indispettì non poco l’anziano patriarca, il quale – sempre secondo il racconto di Tortorella – spiegò a Schimizzi che quella non era una mazzetta e che i soldi bisognava darli a suo figlio.
È sempre Tortorella a far emergere come l’atteggiamento tenuto da Schimizzi comportò la reazione di Libri. Ciò perché Schimizzi non si presentò come amico di Rappoccio, ma come esponente dei Tegano e, dunque, fece presumere che Rappoccio fosse imprenditore che già pagava alla famiglia mafiosa di Archi. In virtù dei vecchi accordi siglati alla fine della guerra di mafia, parte di quei proventi sarebbe dovuta finire nelle casse dei Libri. Da qui la reazione del boss e la necessità del versamento del pizzo per un imprenditore che, stando a quanto narrato da Tortorella, era protetto per la sua amicizia con Nino Votano e non aveva mai pagato.
Colpisce, in tutta la vicenda, la spavalderia con cui Paolo Schimizzi si rapportò con un capofamiglia come Mico Libri, confermando quello che molti dei suoi sodali affermavano e cioè che, proprio la sua voglia di ergersi a boss, noncurante delle direttive di famiglia, l’abbia condannato a morte una volta per sempre.
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