VIDEO | Il padre di Cristian e Nicolò morti a San Pietro Lametino con la mamma Stefania, sta conducendo una battaglia contro il dissesto idrogeologico. Insieme all'ex capo della Protezione civile Carlo Tansi ha effettuato un sopralluogo su uno dei torrenti più pericolosi della zona, il Turrina, il cui alveo è pieno di detriti e l’argine non è stato ricostruito. Una situazione pronta a esplodere di nuovo
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«Tutto tace, nulla si muove e questi sono i risultati. Dovete pulire i fiumi». Angelo Frijia non potrà mai rassegnarsi a quel vuoto lancinante che ha nel cuore, a quella notte che ha visto una strada di San Pietro Lametino diventare un fiume impetuoso e portarsi via sua moglie Stefania e i figli Cristian e Nicolò.
Non si rassegna però a vedere che nonostante quell’immane tragedia, nonostante anche nelle vicinanze, l’alluvione abbia messo in ginocchio le imprese, causato danni ingenti e nei pressi del Turrina risparmiato solo per miracolo la vita di una famiglia di otto persone, nonostante tutto questo, nulla si è mosso.
Potremmo dire che la situazione è rimasta cristalizzata, se non fosse che con lo scorrere del tempo e il fisiologico corso della natura le cose sono anche peggiorate. Abbiamo fatto un sopralluogo con lui e con l’ex capo della Protezione Civile Carlo Tansi sul Turrina, proprio nel punto in cui quella notte si ruppe un argine e il fiume inghiottì un’azienda.
Ci siamo trovati di fronte ad un corso d’acqua difficile da riconoscere tale, specie ora che è in secca. La vegetazione cresce rigogliosa e selvaggia, non mancano gli ortaggi, la sabbia è imponente, manca ancora un argine, il fiume viene diviso in due dalla vegetazione. Detriti su detriti, materiali, piante e canne pronte a fare volume e a causare nuove tragedie.
«Eppure i soldi per pulire i fiumi ci sono», ci dice Carlo Tansi, mostrando anche le ripetute richieste fatte negli anni affinché non solo venisse attuata la manutenzione dei corsi d’acqua, ma si prendesse anche coscienza del fatto che erano e sono bombe ad orologeria pronte ad esplodere.
Lo si legge nero su bianco quel rischio di perdita di vite umane. Fa strano leggerlo ora che tre persone non ci sono più, fa strano leggerlo mentre anche dopo questa tragedia nessuno ha mosso un dito.O meglio, i lavori per pulire e sistemare il Turrina erano iniziati ma sono stati improvvisamente interrotti, dopo neanche una settimana.
Tansi continua a farsi sentire anche ora che non è più a capo della Protezione Civile. «Cos’altro dobbiamo aspettare? Altre vittime? I soldi ci sono, ci sono fondi per le somme urgenze. Lo dico ancora una volta: puliamo i fiumi o conteremo altre vittime».
E si potrebbe non dovere aspettare l’autunno per preoccuparsi, anche le piogge estive possono essere abbondanti e violente. Bisogna muoversi, agire, intervenire, sottolinea ancora il ricercatore. «Di questo passo – aggiunge – il Turrina sarà così colmo di detriti da non avere più argini».
Eppure nel resto d’Italia non funziona così. I fiumi vengono puliti appena i detriti superano determinate soglie, spiega Tansi, la sabbia utilizzata per mitigare l’erosione costiera. C’è poi quella legge a cui Tansi spiega di avere lavorato per mesi e che avrebbe permesso di facilitare la pulizia dei fiumi affidandola a privati che se ne occupassero gratuitamente tenendo poi per sé gli inerti. Un modo per arginare anche il fenomeno delle cave.
«Ma - dice rammaricato il ricercatore - la proposta di legge, arrivata in consiglio regionale, è stata modificata e stravolta perdendo tutta la sua efficacia».
Anche a San Pietro Lametino nessuno ha messo mano. Quella strada che si è presa tre vite è ancora pericolosa e pronta a trasformarsi in un fiume.
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