C’è una verità su una strage impunita, su una bomba che avrebbe dovuto scuotere le coscienze almeno quanto l’attentato del 9 aprile scorso a Limbadi, che giace tra le pieghe di polverosi fascicoli. La verità di un pentito, Angelo Servello, che il primo giugno del 2005 viene interrogato dagli agenti della Squadra mobile di Torino e Catanzaro e dall’allora pm antimafia Marisa Manzini nel carcere di Siano.


Servello aveva solo 18 anni quando il 24 ottobre del 1982, assieme a un coetaneo, avrebbe fatto esplodere l’ordigno, a Pizzinni di Filandari. Avrebbero agito su mandato mafioso. Quella bomba doveva uccidere, tutti insieme, i Soriano. Morirono invece «bambini che erano usciti fuori a giocare». Sbagliarono a collocarla ed esplose davanti all’abitazione di Maria Rosa Cichello, che allora aveva 67 anni. Esplose proprio mentre i fratellini Pesce che si avvicinarono a quella miccia incuriositi. Bartolo aveva quattordici anni, Antonio dieci. Altre quattro persone rimasero ferite. Fu una strage.


Eppure, per questa strage – vent’anni prima che il pentito parlasse - ci fu un processo, che vide assolti alcuni imputati che lo stesso Servello non menzionerà mai in seguito, e che – all’esito del terzo grado – finì con lo scagionare i boss Giuseppe e Luigi Mancuso.
La morte dei fratellini, innocenti vittime della ‘ndrangheta, rimase così un delitto senza giustizia. Un caso irrisolto. Un caso sul quale calò il silenzio fino al 2005, quando Servello, ex trafficante di droga, parlò, autoaccusandosi di quel reato, rivelandone retroscena e movente. Il verbale fu acquisito nell’ambito del processo “Black money – Overseas- Purgatorio” contro il clan Mancuso di Limbadi.


Manzini: «Volevo chiederle in relazione agli altri fatti di cui lei è a conoscenza se tra quelli che lei mi ha già riferito ve ne sono altri di cui intende parlarmi…».
Servello: collaboratore di giustizia: «Uno riguarda la bomba che è stata messa a Pizzinni di Filandari, stiamo parlando di 15, 20 anni fa, non ricordo».
Manzini: «Mi racconti l’episodio…».
Servello: «Intanto uno degli esecutori sono stati io… A mettere quella bomba, cioè l’ha messa l’amico mio quella bomba, no che l’ho messa io… Io ero complice diciamo, nella situazione della bomba…».
Manzini: «Allora, intanto mi chiarisca bene il fatto perché…»
Servello: «Allora questo fatto mi è stato obbligato dal signor […], mio paesano, l’industriale quello che ha la fabbrica di ferro, che lavora… che ha quella grossa fabbrica… Mi è stato obbligato di mettere questa bomba in quanto… dicendomi che glielo hanno detto i fratelli Mancuso, all’epoca, che io non ho mai conosciuto né conoscevo, .
Manzini: «Una bomba posizionata dove?».
Servello: «Alla famiglia Soriano di Pizzinni… Sì, dove invece sono morti degli innocenti, dei bambini…».

Malgrado quel verbale, malgrado quella clamorosa e drammatica confessione, quel caso non fu mai riaperto.