«Però la verità la devo dire, quando sono andato meglio è quando non ho lavorato. Giravo solo fatture. Solo fatture, solo fatture dalla mattina alla sera». Martino Tarasi – l’imprenditore ritenuto legato agli Arena di Isola Capo Rizzuto e che i magistrati della distrettuale indicano come vertice dell’ennesimo castello di carte fiscale fortificato a forza di fatture farlocche e altrettanto fantasiose operazione finanziarie – non sa di essere intercettato quando si vanta, con un sodale, della sua particolare “ricetta” ai morsi della crisi economica.

Una ricetta fatta di società cartiere e messa in piedi per lavare parte dei soldi del clan. Ed è lo stesso Tarasi a spiegare, con naturalezza, la semplicità del sistema scoperto dagli investigatori bresciani. «Avevo due o tre ragazzi con due tre aziende… senza nemmeno un operaio… loro fatturavano a sti clienti, i clienti facevano il bonifico, loro li toglievano ed io glieli riportavo contanti e mi tenevo il 10, il 15%, dipende».

L’imprenditore del clan

Ritenuto organico del ramo dei “Cicala” di Isola Capo Rizzuto, Martino Tarasi è considerato dagli inquirenti «alle dirette dipendenze» di Salvatore Arena, il “Caporale”: indicato dal Gip come «fulcro e principale promotore dell’intera attività criminale, della quale rappresenta l’imprescindibile punto di riferimento organizzativo e decisorio», l’imprenditore avrebbe disegnato una galassia di società fantasma – la Soave, la Michel Service, la General Costruzioni: una quindicina in tutto quelle individuate dai magistrati su tutto il territorio nazionale – distribuendole ad altrettanti prestanome, organizzando e gestendo un giro vertiginoso di false operazioni.

Commercialisti, funzionari pubblici e colletti bianchi nel sistema

Un sistema estremamente efficiente che riusciva a trovare sempre nuove “risorse” anche grazie ad una serie di imprenditori che, ipotizzano le indagini, facevano la fila per entrarci. Per non dire di commercialisti, funzionari pubblici e colletti bianchi tra la Calabria e la Lombardia. Un sistema così sfacciato che aveva portato Tarasi a ritenersi al di sopra delle indagini grazie ad una serie di stratagemma orchestrati sapientemente: «Devi avere il tempo e devi saperli ricompensare, non le devi fare a nome tuo, mai. Ogni anno le cambiavo queste società – racconta ancora l’imprenditore ignaro delle cimici piazzate dagli inquirenti – ogni anno, e mai un controllo mi è arrivato. Mai, mai, mai… aziende che hanno fatturato 4, 5 milioni all’anno, eh».