Le Sezioni unite della Corte di Cassazione chiamate a pronunciarsi per dirimere un contrasto che potrebbe cambiare la storia del contrasto delle 'ndrine all’estero: sarà 416 bis anche senza una percezione esteriore dell’agire mafioso? O servirà sempre una metodologia tipica che intimidisca e generi paura?
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L’associazione mafiosa viene integrata anche quando c’è una ‘ndrangheta silente oppure serve una esteriorizzazione di tale fenomeno così da renderlo percepibile in termini di attualità e concretezza? Sarà questo l’interrogativo cui dovranno dare risposta le Sezioni unite della Corte di Cassazione, chiamate a dirimere una vicenda sollevata da alcuni legali reggini e che scriverà certamente, in un senso o nell’altro, una nuova pagina di giurisprudenza nella lotta alla mafia.
La vicenda
Tutto nasce dal processo “Helvetia”, scaturito dall’omonima inchiesta che aveva permesso di scovare alcune cellule di ‘ndrangheta in territorio svizzero, da parte di soggetti di origine calabrese fra cui Antonio Nesci, 70 anni, e Raffaele Albanese 75 anni, difesi dagli avvocati Emanuele Genovese (in foto) e Giovanni Vecchio. In fase cautelare, la Corte di Cassazione aveva rimesso, in un primo tempo, la questione sulla legittimità dell’ordinanza cautelare al primo presidente affinché valutasse l’opportunità di una decisione da parte delle Sezioni unite. Il presidente, però, non ritenne la sussistenza di un conflitto decisionale ed il ricorso fu trattato dalla seconda sezione della Suprema Corte che annullò la misura cautelare, ritenendo fondamentale il riscontro di una condotta tipica dell’agire mafioso in territorio svizzero, tale da connotare il fenomeno come attuale, esigibile e riscontrabile. Tuttavia, nonostante tale pronuncia in sede cautelare, entrambi i giudizi di merito si conclusero con una sentenza di condanna.
Il ricorso per Cassazione
Da qui il ricorso per Cassazione da parte degli avvocati Vecchio e Genovese che hanno eccepito il vizio di motivazione in merito alla mancanza di prova che, in territorio svizzero, la collettività avesse mai percepito la sussistenza di una consorteria che operasse con le metodologie tipiche dell’agire mafioso che, in conseguenza di ciò, ci fosse una presenza capace di generale quella sudditanza connotata da intimidazione e diffusa paura sul territorio di riferimento. I due legali hanno quindi rimarcato come innumerevoli precedenti giurisprudenziali spesso in contrasto fra loro per quanto concerne il tema della cosiddetta “mafia silente”. A giudizio degli avvocati, dunque, nel caso di Nesci e Albanese ci si troverebbe di fronte a due personaggi che «pur utilizzando un linguaggio arcaico e roboante, in concreto non apparterrebbero ad alcuna consorteria mafiosa, non avendo posto in essere condotte in grado di proiettare all’esterno la capacità d’intimidazione che il vincolo mafioso presenta». Le argomentazioni dei due legali hanno trovato anche l’apprezzamento del procuratore generale d’udienza. La Corte, dopo la camera di consiglio, ha deciso di procedere con una ordinanza di remissione alle Sezioni unite che dovranno dirimere il contrasto interpretativo sorto nel corso degli anni e stratificatosi in giurisprudenza, con pronunce spesso completamente differenti. Sarà, dunque, integrato il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso anche nei casi di mafia “silente”, cioè non caratterizzata da condotte tipicamente intrinseche al programma criminoso che, di regola, accompagna l’appartenenza ad un’associazione delinquenziale? Oppure bisognerà che vi sia sempre l’esteriorizzazione del fenomeno?
Prospettiva futura
Sarà una decisione che avrà un peso non indifferente per numerose inchieste riguardanti la ‘ndrangheta all’estero, ma probabilmente non solo. Perché sarà una sentenza che avrà ripercussione su tutti quei territori in cui, in generale, si può affermare che esista una mafiosa spesso non direttamente percepita dai cittadini, forse anche poco avvezzi a determinate metodologie d’azione. Ecco allora che le Sezioni unite tracceranno un solco vincolante per tutte le procure distrettuali italiane. Solo dopo la pronuncia dei giudici della Suprema Corte si potrà capire se anche la cosiddetta “mafia silente”, quella che non spara e che non si fa sentire, possa essere perseguita e disarticolata. Oppure toccherà sempre vagliare la sua esteriorizzazione, la sua attualità, la sua concretezza. In altri termini la sua precisa ed indiscutibile percezione, il timore che incuterà, la paura che ingenererà.