Con i soldi ottenuti grazie a un gigantesco giro di fatture false sarebbero riusciti a mettere le mani anche su uno dei luoghi simbolo della movida a Brescia: 185mila euro per finanziare – è l’ipotesi investigativa – l’affitto dell’azienda del ristorante Reverso Tower, fiore all’occhiello delle Tre Torri. E lì, nel cuore moderno della città, avrebbero pianificato i loro affari.

Per la Dda di Brescia, un pezzo di ’ndrangheta si sarebbe trasferito nel profondo Nord. Legami ancora robusti con la Calabria, metodi spicci e nuovo core business: false fatturazioni per mettere in piedi una mega frode ai danni del Fisco, roba da 365 milioni di euro. L’inchiesta scattata mercoledì 12 febbraio ha portato in carcere 12 persone. 

‘Ndrangheta a Brescia, i compari calabresi e il socio cinese

I pm la definiscono «associazione criminale armata di stampo mafioso» con addentellati anche all’estero, in Bulgaria, Ungheria, Croazia, Slovenia, Malta e Svizzera. Sono le sedi di alcune delle società utilizzate per il gigantesco giro di documenti contabili fittizi. Tra gli indagati per ’ndrangheta c’è anche un cittadino cinese: Liguan Hu, Gianni per gli amici. Sarebbe lui il terminale finanziario del gruppo: avrebbe infatti rifornito l’associazione di denaro contante ritirato da alcuni suoi connazionali. Uno sarebbe stato individuato a Torino, gli altri invece si troverebbero nella Chinatown a due passi dal centro storico di Milano, dove i contatti con esponenti della malavita sono iniziati negli anni 70 e si sono via via evoluti fino a sperimentare l’ultima frontiera del riciclaggio di denaro. Giovanni il cinese, però, si sarebbe dato da fare anche per procurare al gruppo guidato dai Cambareri le armi utilizzate per un’intimidazione.

‘Ndrangheta a Brescia, i legami con la Calabria

I calabresi di stanza a Brescia sarebbero legati – sempre secondo le accuse della Dda – alla cosca Condello-Imerti-Buda, entro la quale rientra il locale di San Roberto. Da San Roberto, i compari legati a Domenico e Giovanni Natalino Cambareri sarebbero riusciti ad assicurarsi il monopolio sulla «gestione e il controllo delle false fatture nel territorio bresciano». Con gli introiti, avrebbero finanziato attività anche in Calabria e mantenuto «le famiglie di riferimento».

Per mettere le mani su questo affare a sei zeri, la famiglia criminale si sarebbe mossa (anche) con metodi antichi ma efficaci: avvertimenti e minacce di morte, pedinamenti, appostamenti, invii di messaggi minatori. E poi propositi bellicosi anche nei confronti dei cittadini cinesi fornitori di denaro contante necessario alla monetizzazione delle false fatture.

Da un lato la forza, dall’altro la diplomazia: Cambareri e gli altri avrebbero richiesto e ottenuto, dopo una serie di incontri in Calabria (a Sambatello) e nel Piacentino, l’intervento di un giovane legato per questioni familiari a Domenico Tripodo, storico capo bastone della ‘ndrangheta negli anni 70. Lo scopo del contatto sarebbe stato evitare conflitti con altri calabresi legati al clan Buda e vicini ai Condello di Reggio Calabria.

’Ndrangheta a Brescia, il contatto dei fratelli Cambareri in Bulgaria

Domenico Cambareri è considerato dai pm antimafia lombardi il reggente del locale di San Roberto: sarebbe lui il capo del sodalizio monopolista delle false fatture. Al suo fianco Giovanni Natalino Cambareri, terminale operativo su un doppio binario: sarebbe pronto a intimidire chi non segue le regole interne ma avrebbe anche il compiuto di gestire dalla sede operativa di Roncadelle, nel Bresciano, l’attività di emissione di false fatture. A lui farebbero riferimento società cartiere italiane ed estere. Dal 2021 avrebbe allargato il proprio campo d’azione anche alla Bulgaria, dopo aver sottratto la gestione di alcune aziende al gruppo che, prima dell’avvento dei calabresi, avrebbe operato con lo stesso sistema per frodare il Fisco.

È finita nei guai anche una commercialista bulgara divenuta – secondo i magistrati bresciani – referente del nuovo gruppo criminale dopo esserlo stata per i vecchi monopolisti del business. Il suo compito sarebbe stato fondamentale per sottrarre denaro ai rivali dai conti correnti delle società bulgare e negare loro l’accesso anche da remoto alle linee di credito. Il filo parte da Brescia e abbraccia buona parte dell’Europa.

Il fallimento della Bsc Group 

È il fallimento di una società, la Bsc Group srl, a inguaiare il gruppo. La Guardia di finanza aveva messo gli occhi sull’azienda nel 2019 per il sospetto che potesse essere coinvolta in una frode fiscale connessa a fenomeni di riciclaggio internazionale. Dalle dichiarazioni fiscali, in effetti, sembravano emergere diverse irregolarità. C’era poi il capitolo delle presunte false fatture. I dubbi degli investigatori si concentrarono su due clienti: uno nel Bresciano e l’altro a Rende (un’azienda di legnami). Il passaggio dai fatti ai nomi delle persone coinvolte convinse i finanzieri ad andare a fondo. Le ditte presenti questo giro di documenti fiscali sospetti erano collegate a soci «contigui alla criminalità organizzata di stampo ’ndranghetista».

C’era Giovanni Natalino Cambareri, ritenuto il reggente del locale di San Roberto e condannato dalla Cassazione nel 2015 per associazione a delinquere di stampo mafioso e detenuto fino a giugno 2017 in regime di carcere duro. C’erano poi altri tre personaggi: un uomo ritenuto da alcuni collaboratori di giustizia vicino alla cosca Italiano-Papalia di Delianuova, uno legato alla cosca Buda, che “governa” i comuni di Villa San Giovanni, Fiumare, Campo Calabro e San Roberto e, infine, il figlio di un pregiudicato considerato affiliato alla cosca di ’ndrangheta di don Mico Tripodo: avrebbe fatto da autista allo storico boss negli anni 70. Quei quattro nomi hanno dato il via agli approfondimenti investigativi sull’asse Calabria-Lombardia. Un asse da cui si è dipanato il filo che ha condotto la Procura di Brescia fino ai centri finanziari di mezza Europa per inseguire la maxi frode fiscale con il cuore a Brescia, nelle torri ultra moderne che illuminano le notti della movida.