In una delle sue molte vite il pentito Gennaro Pulice è stato un dirigente calcistico di serie A. Non in Italia ma in Bulgaria, dove amministrava il Botev Plovdiv: fatto noto che, nel verbale del 2018 (in cui narra del progetto delle cosche di Lamezia Terme di uccidere l’imprenditore Floriano Noto), il collaboratore di giustizia arricchisce di particolari inediti.

Al pubblico ministero della Dda di Catanzaro Domenico Guarascio, Pulice illustra i propri rapporti con i clan crotonesi. La digressione sportiva è funzionale a questo racconto. «Io mi occupavo dell’amministrazione di questa società – spiega il collaboratore di giustizia – che era stata presa da mio cugino e da altre persone e anche da me». Non esattamente come investimento sulle fortune sportive del club, in realtà l’operazione serviva «soprattutto per gestire quelle che erano le scommesse sportive a livello nazionale». Soldi sporchi nel mirino di Pulice, legato alla cosca Iannazzo.

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La squadra in Bulgaria presa «grazie a un procuratore e un giornalista»

Gli amici crotonesi del pentito avrebbero offerto la propria disponibilità per ospitare la squadra durante la preparazione atletica. Un presunto referente del clan Trapasso avrebbe, infatti, proposto di sfruttare un resort a Steccato di Cutro «perché comunque è una ditta mia di riferimento». La struttura ricettiva non risponde esattamente ai requisiti richiesti dalle società sportive, che di solito preferiscono ritiri in zone di montagna circondate da impianti sportivi ma, come abbiamo visto, le performance calcistiche non sono il primo obiettivo dell’impresa nell’Europa dell’Est.

«Come arrivate in Bulgaria?», chiede il magistrato a Pulice. Che ricorda come i contatti siano stati propiziati da un procuratore sportivo legato al Novara calcio e da un «agente e giornalista Sky: tramite loro arriviamo prima al Botev, poi abbiamo preso il Vhren Sandansky e altre squadre lì».

L’idea di alterare le scommesse, però, non è sufficiente a mantenere in piedi il progetto. «La problematica di queste squadre bulgare – dice ancora Pulice – era che non avevano i capitali per andare avanti: noi siamo arrivati mettendo i capitali, abbiamo risollevato la squadra, l’abbiamo sfruttata il più possibile e poi comunque l’abbiamo fatta fallire, non l’abbiamo tenuta in piedi».

Dai sequestri alle false fatturazione, perché la ’ndrangheta ha cambiato faccia

Pulice appartiene a una generazione di ’ndranghetisti che ha vissuto il passaggio dall’era in cui le faide erano “necessarie” per sete di vendetta o di potere (lui stesso si è inventato killer ancora minorenne per vendicare suo padre) a un’epoca in cui la violenza viene accantonata per puntare sul business.

Nel suo lungo interrogatorio si occupa di omicidi (progettati) e ditte legate alla ‘ndrangheta. E chiarisce che il nucleo del suo impegno, con il trasferimento in Svizzera e gli agganci nel Nord, diventa prettamente finanziario: false fatturazioni ed evasione dell’Iva diventano strumenti per movimentare denaro. Un sistema di cui la ’ndrangheta si serve da tempo. Il pentito riassume decenni di evoluzione delle pratiche criminali in poche battute: «Dottore, quando sono partiti i calabresi, sono partiti che magari mio nonno mi diceva che facevano i sequestri di persona, poi hanno messo la legge che prendevi trent’anni se facevi un sequestro di persona e non li ha fatti più nessuno e si sono dedicati alla droga. Adesso con due 74 (il riferimento è all’articolo che punisce il narcotraffico, ndr) prendi l’ergastolo e non lo fa più nessuno: hanno scoperto il mondo delle fatture che non rischi nulla».

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Pulice: «Vi spiego perché società si costituiscono a Milano»

Quella di Pulice è una piccola lectio magistralis: «Il prestanome non rischia nulla perché è un incensurato, gli si fa un regalo, sparisce tutto, non c’è aggravante, non c’è niente. È una cosa comunque che se dovesse andare male, quindi viene contestato il reato di bancarotta, distruzione di documenti fiscali, però non è una cosa grave, non vai a finire comunque nelle mani di un pubblico ministero della Dda. È tutto più semplice, no?».

Approfondimento, per così dire, geografico: «Magari dichiari il fallimento di una società» e sono «costituite sempre a Milano le società, il Tribunale di Milano quanti fallimenti deve discutere? Neanche lo sappiamo quanti fallimenti… prima che arriva a discutere il mio fallimento è tutto prescritto. Ed è un sistema comunque geniale, no?».

Non è l’unico. Pulice riferisce anche di grossi affari nel settore dell’acciaio basati su false compravendite e triangolazioni con l’estero, dove «non c’è l’Iva e si guadagna ancora di più». Il pentito racconta di acquisti della sua ditta italiana dalla Francia e di finte rivendite in altri Paesi europei. Un giro che servirebbe per lucrare sull’Iva nel primo passaggio. Il secondo step (quello dall’Italia all’estero) sarebbe una vendita fittizia: «Il camion passa veramente dalla frontiera, però senza il carico dentro» e il materiale acquistato dalla Francia resta in magazzino per essere poi venduto in nero.

«In Calabria questi affari non si fanno, le industrie sono morte»

La cosca ci guadagna due volte. Alcuni, per Pulice, hanno affinato il meccanismo: «I cutresi sono fortissimi a fare queste cose qui», anche grazie a una serie di professionisti che sarebbero a loro disposizione, soprattutto al Nord. L’ufficiale della polizia giudiziaria presente all’interrogatorio prova ad allargare il discorso alla Calabria: «Qua in Calabria, gli specialisti che fanno questo servizio…».

«No, perché le industrie sono morte, in Calabria non ce n’è industrie – è la replica del pentito –. In Calabria ti possono fare il 740 fasullo, ti possono presentare un bilancio ma quello ormai con internet lo presenta chiunque un bilancio: ti metti, te lo scarichi e lo fai». La ’ndrangheta, ormai, fattura soltanto al Nord e all’estero. E sposta il proprio business su campi meno pericolosi. I magistrati antimafia li chiamano reati spia e spesso devono esporsi in primo piano per chiedere che vengano puniti più severamente di quanto la politica, spesso, non ritenga necessario.