Forse non tutti se ne sono accorti, ma la Calabria ieri ha fatto irruzione nelle cronache nazionali senza che fosse la ‘ndrangheta a richiamare l’attenzione dei giornali italiani.
Caso ha voluto che mentre nel governo gialloverde si consumava l’ennesimo scontro di principio intorno alla sorte dei 49 migranti della Sea Watch, da 19 giorni in mare senza un porto in cui attraccare, in Calabria 51 profughi curdi venivano condotti da due scafisti russi (poi arrestati) sulla costa crotonese, dove hanno fatto arenare l’imbarcazione con la quale li hanno portati in Italia. La barca si è rovesciata a pochi metri della spiaggia di Torre Melissa e tutti sono finiti in mare. Le urla disperate hanno richiamato i residenti del piccolo centro crotonese, che si sono prodigati in tutti modi per soccorrerli e rifocillarli. Una mamma con il suo bambino di pochi mesi, rimasti intrappolati nello scafo capovolto, sono stati salvati dai finanzieri che insieme ai vigili del fuoco, alla capitaneria e alle forze dell’ordine hanno partecipato alle operazioni di salvataggio. Il sindaco di Melissa, Gino Murgi, che è accorso sulla spiaggia per dare anche lui una mano, si è detto orgoglioso dei suoi concittadini.
È singolare che tutto ciò sia accaduto proprio mentre Malta decideva di aprire il suo porto alla Sea Watch e mentre il resto dell’Europa, dopo settimane di polemiche e dibattiti, aveva finalmente raggiunto un accordo per spartirsi un pugno di migranti a testa di quei 49. Quelli che resteranno in Italia andranno in una struttura della Chiesa Valdese, «senza oneri per lo Stato», ci ha tenuto a precisare Palazzo Chigi.

 

Due vicende simili, ma anche profondamente diverse. Perché se i migranti a bordo della nave Ong erano solo numeri senza volto a malapena intravisti nei telegiornali della sera, sballottati non tanto dalle onde quanto dalle divisioni politiche e dalle tensioni elettorali all’orizzonte, quelli approdati in Calabria erano uomini, donne e bambini con i vestiti bagnati che tremavano di freddo. Erano uomini, donne e bambini incredibilmente vicini, che cercavano di guadagnare la riva annaspando, e hanno incontrato altri essere umani pronti ad aiutarli non perché fosse politicamente giusto o meno, ma perché non c’era alternativa se non quella di negare totalmente la propria umanità.

 

Tra tutti quelli intervenuti ieri a Crotone, che fossero operatori di soccorso o semplici cittadini, ce ne saranno stati sicuramente molti che adorano Salvini, che condividono le sue politiche alla Trump, che declinano in ogni occasione tutto l’armamentario di muri e confini inviolabili. E ce ne saranno stati pure di quelli che stravedono per Di Maio, che accettano senza riserve il compromesso raggiunto con la destra sovranista per governare il Paese. Eppure non si sono fatti troppe domande: sono scesi in spiaggia portando coperte e cibo, calore e conforto.
In tanti, tra coloro che all’alba sono stati buttati giù dal letto dalle grida dei migranti finiti in mare, torneranno o sono già tornarti sui social a urlare “prima gli italiani”. Ma ieri no. Ieri, c’erano solo uomini, donne e bambini da soccorrere, da qualunque paese arrivassero.


Enrico De Girolamo

 

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