«Deve escludersi l'irragionevolezza della norma che la parte ricorrente ha censurato e conseguentemente può reputarsi infondata la questione di legittimità costituzionale». Così argomenta il Tribunale di Catanzaro - sezione Lavoro - che con propria ordinanza ha oggi respinto un ricorso proposto da una infermiera dell'azienda ospedaliera Pugliese Ciaccio sospesa dal lavoro in seguito all'entrata in vigore del decreto legge 44/2021 che prevede, appunto, la sospensione dal lavoro per i sanitari che non decidano di non sottoporsi a vaccinazione anti covid. 

Il ricorso

L'infermiera, in servizio nel reparto di Pediatria dell'ospedale, si era infatti rivolta al giudice del lavoro dopo che l'azienda aveva deciso la sua sospensione dal lavoro e della retribuzione fino al 31 dicembre 2021, a seguito del rifiuto di sottoporsi al vaccino. Il giudice Francesco Aragona ha respinto il ricorso rimarcando che «la sospensione del diritto di svolgimento della prestazione lavorativa produce effetti fino all'assolvimento dell'obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano nazionale vaccinale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021».

Il lavoratore può sempre vaccinarsi 

«Ciò vuol dire che l'efficacia della sospensione deve intendersi condizionata a un evento risolutivo dipendente dalla volontà della medesima - ha argomentato -. In altri termini, la sospensione dal lavoro e della retribuzione è sottoposta a una sorta di condizione risolutiva potestativa (assolvimento dell'obbligo vaccinale) il cui accadimento rientra nella disponibilità del lavoratore, il quale in qualunque momento con un comportamento volontario - che anzi sarebbe doveroso atteso lo specifico obbligo vigente a suo carico - può far cessare gli effetti dalla sua sospensione dal lavoro. Ed allora a fronte di un evento risolutivo che la legge prevede come idoneo a determinare la cessazione dell'effetto sospensivo del lavoro e della retribuzione non sembra ipotizzabile una situazione di periculum in mora».

Argomentazioni pretestuose

Il giudice del lavoro va poi oltre: «Bisogna innanzitutto sgomberare il campo da eccezioni pretestuose sollevate dalla parte attrice: infatti ancora oggi delle comunicazione asseritamente non ricevute dalla dipendente o di procedure presuntivamente violate dall'azienda, l'istante se davvero volesse sottoporsi al vaccino potrebbe tranquillamente recarsi presso un punto vaccinale ed adempiere l'obbligo legale su di lei gravante. Ed allora quello che la ricorrente apertamente non dice è che essa non intende affatto assumere tale vaccino né ora né mai, quantunque non ricorra nei suoi confronti - non avendo dedotto ancor prima che documentato un pericolo per la sua salute - alcuna controindicazione ostativa alla somministrazione dello stesso».
Insomma, inutile accampare scuse strumentali sostenendo che l'azienda sanitaria non ha rispettato le procedure, chi vuole davvero vaccinarsi può farlo e sanare così la propria posizione.

Legittimità costituzionale

L'infermiera aveva infatti sollevato una questione di legittimità costituzionale: «Il diritto soggettivo al lavoro ed alla conseguente retribuzione è intangibile e indisponibile sicchè una legge che le impedisse delle prestazioni lavorative sarebbe, per ciò solo, contraria ai principi costituzionali. Così argomentando tuttavia - si legge nell'odinanza - l'istante volutamente trascura di considerare che vi è una pandemia in atto e che il legislatore si è preoccupato di adottare una serie di misure a tutela della popolazione per il contenimento del contagio. È evidente che il diritto soggettivo individuale al lavoro e alla conseguente retribuzione è sì meritevole di protezione ma solo fino all'estremo limite in cui la sua tutela non sia suscettibile di arrecare un pregiudizio all'interesse generale di fronte al quale è destinato inesorabilmente a soccombere sicchè ove il singolo intenda consapevolmente tenere comportamenti potenzialmente dannosi per la collettività deve sopportarne le inevitabili conseguenze».

Visioni personali ed egoistiche

«Non possono rilevare le visioni personali ed egoistiche del singolo - conclude il giudice - non giustificate sul piano scientifico, nè la paura indotta da eventuali complicazioni riconducibili alla sua assunzione. Ciò tanto più allorché il soggetto che rifiuti di sottoporsi all'obbligo vaccinale è un esercente la professione sanitaria all'interno di una pubblica struttura ospedaliera dove è maggiore il rischio di favorire la diffusione del contagio in forza del quotidiano contatto con gli utenti del servizio sanitario nazionale».