Nella parte finale dell'ordinanza di custodia cautelare, il gip di Cosenza Piero Santese spiega i motivi che lo hanno portato ad applicare le misure nei confronti dei 24 indagati coinvolti nell'indagine della procura di Cosenza contro la gestione del Comune di Rende, da parte degli amministratori rendesi. Parliamo, nel caso di specie, di Marcello Manna (sindaco), Pino Munno (assessore) e Annamaria Artese (vicesindaco).

«Il fatto che i reati in esame siano tutti connessi all'esercizio di funzioni pubbliche - evidenzia il giudice Santese - induce a ritenere attuale l'esigenza cautelare di evitare il reiterarsi di reati della stessa specie di quelli per cui si procede, con riferimento a tutti gli indagati che, ad oggi, ricoprono lo stesso incarico che avevano alla data di consumazione delle singole fattispecie criminose analizzate».

«Tale esigenza - aggiunge il gip Santese - deve ritenersi concreta e attuale anche se le condotte contestate risalgono nella maggior parte dei casi agli anni 2019 e 2020, proprio perché le condizioni che hanno originato le singole vicende persistono, per quasi tutti gli indagati a carico dei quali si sono ritenuti sussistenti i gravi indizi di colpevolezza, tuttora, tenuto conto dell'accertata commistione sussistente, in un piccolo comune come Rende, tra pubblici amministratori da un lato e i (pochi) imprenditori, dall'altro, che hanno potuto, e si ritiene appunto possano ancora, beneficiare illecitamente dei guadagni derivanti da una illegale gestione della res pubblica».

Le posizioni di Pino Munno, Massimino Aceto e Giovanni Motta

All'ex assessore Pino Munno, il gip Santese ha applicato gli arresti domiciliari per due ordini di motivi. «Nelle condotte integranti i reati di peculato ai danni della Rende Servizi, il quid pluris che ha consentito il perpetrarsi di siffatti reati va rinvenuto non già o non tanto nel fatto che egli fosse assessore al Comune, quanto nella conoscenza personale che egli aveva, certamente grazie alla sua carica ma non solo, dei diversi fornitori della Rende Servizi cui si rivolgeva, e negli appoggi che dipendenti della Rende Servizi gli davano nella commissione delle singole condotte illecite».

Il secondo motivo non riguarda propriamente la sua veste di assessore al comune di Rende, ma deriva «dalla sua capacità criminale di infiltrarsi con i suoi metodi illeciti negli appalti del Comune di San Vincenzo La Costa». Secondo il gip Santese le ipotesi di reato sono così gravi da meritare una misura coercitiva totalmente privativa della libertà personale. Stesso discorso per l'imprenditore Massimino Aceto e per il dipendente del Comune di San Vincenzo La Costa, Giovanni Motta.

I dipendenti comunali di Rende

«Per tutti i dipendenti del Comune di Rende, che svolgono le stesse funzioni di quelle che hanno originato i reati loro contestati, si ritiene che la misura interdittiva della sospensione dal servizio possa essere idonea a impedire la reiterazione del reato, trattandosi di reati posti in essere nell'occasione dell'attività lavorativa svolta nell'amministrazione comunale». Valutazioni che riguardano direttamente Francesco Minutolo, Annamaria Artese, Giuseppe Rende, Luigi Rovella, Roberto Beltrano, Andrea Sorrentino, Aurelio Perugini e Roberta Vercillo.

Marcello Manna non poteva essere interdetto

«Con riferimento al sindaco di Rende Marcello Manna si ritiene che le esposte esigenze cautelari possano essere salvaguardate con la misura coercitiva del divieto di dimora nel comune di Rende, dovendosi quindi impedire allo stesso di non accedere nel territorio comunale di Rende. Siffatta misura si rende necessaria, apparendo l'unica idonea ad eliminare il rischio di reiterazione di reati analoghi in contestazione (reati comunque connessi alla sua funzione), in quanto non è possibile applicare alla figura di sindaco la misura interdittiva prevista dall'art. 289 c. p. p.». Per Manna la Procura di Cosenza aveva chiesto il carcere.

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Gli altri indagati

«Passando alle posizioni degli altri indagati, non pubblici dipendenti (Bruno Marucci, Mariano Mirabelli, Michele Mirabelli, Danilo Luca Borrelli, Franco Borrelli, Francesco Garritano e Alessandro Sturino), si ritiene che l'esigenza cautelare di evitare la reiterazione di reati analoghi possa essere soddisfatta per tutti con la misura interdittiva del divieto temporaneo di esercitare attività imprenditoriali e professionali. La durata di tale misura interdittiva si ritiene possa essere determinata in dodici mesi per tutti i suddetti indagati, ad eccezione di Francesco Garritano, per cui appare congrua una interdizione di sei mesi, al pari di quanto previsto per i pubblici dipendenti coinvolti nella medesima vicenda criminosa».

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