Una rete relazionale degli indagati pervasiva, «agevolata dal fervido tessuto connettivo che raccorda i molteplici procedimenti tuttora in fase di definizione, con ciò alimentando un costante flusso informativo sulle collaterali emergenze giudiziarie in divenire». Dedicano un apposito capitolo alla «fuga di notizie e alle aderenze con esponenti delle istituzioni», gli inquirenti che hanno portato a termine l’operazione antimafia denominata Olimpo. Lo fanno partendo da alcuni dati intercettati e dalle accortezze emerse sul fronte delle cautele adottate dagli indagati allo scopo di evitare più accurati monitoraggi ad opera della magistratura e delle forze dell’ordine, sino alle dichiarazioni di Emanuele Mancuso.

Nell’interrogatorio del 26 ottobre 2021, il collaboratore di giustizia riferiva in particolare che il padre, Pantaleone Mancuso, detto “l’Ingegnere”, gli avrebbe raccontato che «Diego Mancuso doveva andarsene da Limbadi perché lì non sarebbe durato. Così si stabilì al villaggio Heaven a Santa Maria di Ricadi, dove figura come dipendente ma che in realtà è suo. Lui si è stabilito lì dopo un paio di mesi dalla scarcerazione». Sul punto, Emanuele Mancuso spiegava poi che lo zio «Diego Mancuso era molto accorto e stava attento ad eventuali attenzioni delle forze dell’ordine. La signora Napoli, che era a lui legata, mi chiedeva sempre di fare bonifiche e di controllare se ci fossero telecamere sui pali dell’elettricità delle zone limitrofe».

Polizia e Dda di Catanzaro hanno tratteggiato i contatti tra il clan La Rosa di Tropea e Mancuso di Limbadi, oltre che le relazioni dell’indagato Pasquale Anastasi con politici a loro volta a conoscenza di “talpe” e messaggi fatti filtrare all’esterno. Per i dettagli, continua a leggere su IlVibonese.it