Rodolfo Scali rimasto coinvolto nell'inchiesta scattata questa mattina che ha portato all'arresto di 12 persone si lamenta con un suo sodale dei carabinieri che intralciano i suoi piani criminali
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«Guarda a volte mi viene la voglia di entrare, di entrare con un kalashnikov lì; vado con un kalashnikov nelle mani, nella caserma e me li macello tutti, ti giuro, sai». Siamo nell’agosto del 2016 e il presunto capo della locale di Mammola, Rodolfo Scali, si lamenta con due suoi sodali alleati venuti da Siderno: i carabinieri che controllano le disposizioni seguite al rilascio dal carcere del presunto boss (Scali è sottoposto al regime di vigilanza speciale) lo infastidiscono, intralciando i suoi piani e lui, Scali, esplode in una serie di minacce condivise con i suoi interlocutori. Scali, scrive il Gip che ne ha disposto l’arresto, si atteggia a “uomo d’onore” vecchio stampo e non nasconde mai la sua indole violenta.
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«Vedete che io non sono il Rodolfo di una volta… che stava calmo – racconta intercettato dagli uomini della polizia – gli ho detto, io ho i miei problemi; gli ho detto… non vi permettete nessuno di fare qualcosa di più di quello che dovete fare, perché vedete che vi prometto che sono nelle condizioni di farlo. Non crediate che solo l’Isis è capace di fare quello che sta facendo… che sono capace anche di ammazzare».
Violento e risoluto, Scali ha una sua personale teoria rispetto alla controffensiva allo strapotere della ‘ndrangheta portata avanti da magistratura e forze dell’ordine. Controffensiva resa possibile, sostiene il presunto boss, dallo scarso coraggio dimostrato dalle nuove leve: «troppo i deboli abbiamo fatto nella Calabria, che fanno quello che vogliono e stanno zitti». Scali ha nel mirino i giovani picciotti che non sopportano il carcere e, dopo l’arresto, decidono di collaborare con la giustizia: «Quelli che vengono a sedersi accanto a noi sono deboli, che vanno a raccontargli tutte le cose… gli raccontano chi sono le persone più forti… le persone che possono fare male». E se da una parte è lo stesso Scali che alla fine, salomonicamente, ammette, riferendosi alle operazioni delle forze dell’ordine «che la pulizia che avremmo dovuto fare noi, la fanno loro», dall’altra, nel vortice impazzito dei codici mafiosi, si lamenta per il senso di vergogna che le nuove collaborazioni gli provocano: «Mi viene la vergogna, la vergogna credimi. I napoletani me lo dicevano a me: “Rodò mi viene la vergogna, perché una volta voi calabresi portavate la bandiera, adesso siete la vergogna delle carceri”».