Arrivata in Cassazione la maxi operazione scattata nell’agosto del 2000. Annullata senza rinvio la condanna nei confronti Pantaleone Mancuso, detto 'l'Ingegnere'
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È arrivata la sentenza della Cassazione per quello che rimaneva della maxi operazione “Genesi”, scattata nell’agosto del 2000 contro quaranta indagati, poi divenuti imputati, ma la cui sentenza ad opera del Tribunale di Vibo Valentia si è avuta solo nel maggio del 2013, a ben tredici anni di distanza. La sentenza d’appello risale invece al 28 febbraio dello scorso anno.
Questa la sentenza della Suprema Corte che ha confermato quella di secondo grado per: Nazzareno Prostamo, 57 anni, di San Giovanni di Mileto, condanna a 13 anni (avvocato Piero Chiodo); Diego Mancuso, 63 anni, di Limbadi, condanna a 6 anni di reclusione (avvocati Mario Bagnato, Giuseppe Renda e Francesco Schimio); Francesco Mancuso, 62 anni, detto “Tabacco”, di Limbadi (avvocati Giuseppe Di Renzo e Antonio Porcelli), condanna a 6 anni; Giuseppe Santaguida, 58 anni, di Sant’Onofrio (avvocati Antonio Foti e Antonietta Gigliotti Denicolò), condanna a 6 anni; Nicola Zungri, di Rosarno, condanna a 6 anni in luogo dei 9 anni rimediati in primo grado (due capi d’imputazione si sono prescritti in secondo grado). Unico annullamento (senza rinvio) quello deciso nei confronti di Pantaleone Mancuso, 57 anni, detto “l’Ingegnere”, originario di Limbadi, residente a Nicotera, che in appello era stato a 6 anni (avvocati Mario Bagnato e Mario Santambrogio). Gli imputati rispondevano tutti di associazione mafiosa. Prostamo anche di alcuni reati-fine.
L’operazione antimafia denominata “Genesi”, coordinata dall’allora pm della Dda Luciano D’Agostino, era scattata nell’agosto del 2000 contro boss e gregari dei clan Mancuso di Limbadi, Galati e Prostamo di Mileto, Soriano di Filandari, Morfei di Dinami. In appello di era registrata la prescrizione per: Pasquale Pititto, di San Giovanni di Mileto (in primo grado condannato a 8 anni); Mauro Campisi, di Monsoreto di Dinami (in primo grado condannato a 7 anni); Rocco Angiolini, di Dinami (9 anni in primo grado). Non doversi procedere per morte dell’imputato era stata invece dichiarata in appello nei confronti di Michele Tavella di San Giovanni di Mileto. In appello è stato assolto anche Giovanni Mancuso, 78 anni, di Limbadi, ritenuto elemento di spicco dell’omonimo clan che in primo grado a Vibo era stato condannato a 6 anni di reclusione per associazione mafiosa. La Procura generale di Catanzaro non ha appellato la sua assoluzione che è divenuta, pertanto, definitiva.
Ben 42 gli imputati giudicati in primo grado dal Tribunale di Vibo Valentia per un dibattimento durato quasi dieci annie che ha registrato il cambio di diversi Collegi giudicanti per poi arrivare ad una sentenza con pene per complessivi 86 anni di carcere a fronte di una richiesta di condanna - formulata in aula dagli allora pm della Dda di Catanzaro, Giuseppe Borrelli e Simona Rossi - pari a 379 anni di reclusione. Solo 11 le condanne e ben 31 le assoluzioni, neppure appellate dalla Procura distrettuale di Catanzaro e divenute così definitive. Nel corso del processo di primo grado erano stati ascoltati quasi 40 collaboratori di giustizia provenienti da tutta la Calabria, ma anche camorristi e appartenenti alla Sacra Corona Unita pugliese. Tutti concordi nel delineare il potere del clan Mancuso, ma soprattutto la “genesi” della loro influenza nel panorama ‘ndranghetistico.
L’operazione “Genesi” è frutto della riunione di due inchieste:“Alba”, condotta dalla Dda di Catanzaro, e “Metropolis”condotta inizialmente dalla Procura ordinaria di Vibo Valentia e poi trasmessa per competenza territoriale alla Dda di Catanzaro dall’allora presidente del Tribunale di Vibo Valentia, Giuseppe Vitale che, nel corso del processo “Metropolis”, ha emesso nel 1999 un’ordinanza di 139 pagine per spiegare l’emergere in dibattimento di un’associazione mafiosa collegata ai clan Mancuso di Limbadi, Pesce di Rosarno e Piromalli di Gioia Tauro. Alla fine del processo “Genesi”, il Tribunale collegiale di Vibo Valentia presieduto da Antonino Di Marco, (giudici a latere Alessandro Piscitelli e Manuela Gallo) ha però assolto 31 imputati con una sentenza di sole 130 pagine in cui oltre dieci collaboratori che hanno deposto in aula non sono stati neanche citati nelle motivazioni.