VIDEO | Il fiume esondando rase al suolo la sua attività tra Acconia e Lamezia. Domenico Panzarella non smise mai di denunciare e di chiamare in causa chi aveva responsabilità nella vicenda. Un infarto lo ha strappato troppo presto ai suoi cari
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È stato ed è un simbolo dell’esondazione del fiume Turrina, di ciò che la furia delle acque, quando si infrange con la mancanza di manutenzione e di pulizia, può fare. È spirato per un infarto Domenico Panzarella, imprenditore agricolo di Curinga, la cui azienda era stata completamente rasa al suolo nella notte tra il 4 e il 5 ottobre dello scorso anno. Il torrente si gonfiò, rompendo un argine e rigurgitando nelle sue serre rifiuti di ogni genere, pneumatici, pezzi d’auto, sanitari, tronchi d’albero. Lì dove prima venivano coltivate zucchine e ortaggi divenne un pantano. Difficile entrare nelle serre anche con i mezzi agricoli, l’acqua non si assorbì per mesi.
Panzarella, insieme ai suoi figli, raccontò più volte ai nostri microfoni il dramma di vedere sommersa la sua azienda dalle acque e di dovere licenziare i suoi collaboratori storici, chi da una vita aveva coltivato quelle terre. Seguì l’inizio dei lavori per il ripristino dell’argine mancante, ma le operazioni furono sospese dopo pochi giorni lasciando tutto come era. Ancora una volta Panzarella denunciò, non stette zitto, continuò a lanciare l’allarme su quanto sarebbe potuto accadere in un nuovo momento di piogge forti.
Un fiume pieno di vegetazione e arbusti, con le briglie sommerse e senza un’argine, stavolta avrebbe potuto non lasciare scampo. Fu solo per un caso se l’argine in quella tragica notte di ottobre si ruppe dal lato dell’azienda Panzarella e non dal lato opposto, dove viveva una famiglia di otto persone rimaste bloccate in casa e vive per miracolo.
Diversi anche i sopralluoghi dell’ex capo della Protezione Civile Carlo Tansi, sia nell’immediatezza dei fatti che poco tempo fa, ai primi di luglio. Anche in questo caso il ricercatore aveva lanciato il suo esasperato avvertimento e mostrato le carte con le quali aveva da anni chiesto interventi di pulizia dei fiumi onde evitare tragedie.
Il rammarico di Panzarella era «non potere lasciare un’azienda a posto ai miei figli», così aveva ripetuto più volte accarezzando con lo sguardo il figlio Antonio che voleva proseguire il lavoro del padre. Una famiglia sana quella dei Panzarella, di forti valori, e che chiedeva solo di essere rimessa nelle condizioni di vivere del proprio lavoro. E anche oggi che tutto tace, che i suoi appelli alla Regione e alle istituzioni sono caduti nel vuoto, Domenico Panzarella rimane un simbolo: il simbolo di chi non si rassegna e continua a chiedere giustizia. A suoi familiari le più sentite condoglianze e l’augurio di vedere realizzato ciò che Domenico avrebbe voluto vedere.
Ecco Domenico Panzarella in uno dei servizi del nostro tg: