Una montagna («tanta roba») di «lire del ’94» in banconote da 100mila. Quanti milioni non si sa: i magistrati della Dda di Palermo si limitano a parlare di «un grande quantitativo» di denaro che le cosche di San Luca avrebbero voluto cambiare in euro. Il tentativo sull’asse Calabria-Sicilia si blocca nel periodo della pandemia ma prova l’esistenza di un rapporto tra Cosa nostra, in una delle sue articolazioni più vicine al boss Matteo Messina Denaro, e la ’Ndrangheta. Clan Nirta, per la precisione: gli incontri sarebbero avvenuti con Paolo Nirta, già apparso in altre inchieste come presunto fornitore di cocaina per le gang siciliane.

L'ipotesi della Dda di Palermo sui soldi: incassati grazie ai sequestri di persona

È il lockdown a fermare tutto: la macchina avviata per ripulire il denaro – che avrebbe potuto contare su un contatto in Germania – si inceppa e l’inchiesta prosegue su altri filoni. Per la Direzione distrettuale antimafia, però, restano in piedi alcune questioni chiave. Tutte lascerebbero pensare che il denaro provenisse da attività illecite. C’è, innanzitutto, «la circostanza che un quantitativo così rilevante di denaro contante (non quantificabile con precisione in base alle intercettazioni ma sicuramente ingente) sia stato custodito per oltre venticinque anni (dal 1994 al 2020) senza presentare la richiesta di cambio presso gli istituti di credito o presso la Banca d'Italia nei tempi previsti». In secondo luogo c’è la questione «che le banconote risalissero al 1994 e dunque ad un periodo in cui l'emergenza dei sequestri di persona, pur in fase di declino, era ancora particolarmente presente in Italia». Infine, proprio la ’ndrina Nirta-Strangio è stata «particolarmente attiva in quel settore criminale durante tutta quella triste stagione». È soltanto un’ipotesi, quella degli inquirenti: quei soldi potrebbero essere stati riscossi nell’epoca dei sequestri di persona in Aspromonte e poi “dimenticati” per un quarto di secolo.  

Leggi anche

Potrebbe diventare uno dei tanti aneddoti che raccontano la grande disponibilità di denaro della ’ndrangheta. Banconote nascoste per anni nelle intercapedini dei muri e diventate marce, milioni nascosti in enormi pentoloni sotto terra: il campionario è vasto.

Il gruppo siciliano legato a Matteo Messina Denaro era in contatto con i Nirta 

Così come sono numerosi i ricorsi storici sull’asse Calabria-Sicilia: certi legami non sono inediti. I nomi delle persone coinvolte nell’affare sono la prova che i contatti avvengono ai massimi livelli. Sulla sponda siciliana c’è la famiglia Angelo di Salemi, mandamento mafioso di Mazara del Vallo: il patriarca Salvatore, 75 anni, e il figlio Andrea, 36. Salvatore, arrestato nel dicembre 2012, ha scontato una condanna per associazione mafiosa: ha agevolato l’infiltrazione di Cosa nostra nel settore delle energie rinnovabili «rispondendo direttamente al suo capo indiscusso nella Provincia, Matteo Messina Denaro». Angelo esce dal carcere il 4 luglio 2019 e torna a coltivare, dietro le quinte, vecchi affari. Suo figlio sembra avere un profilo più operativo: è lui a coordinare le trasferte in Calabria per aprire canali con San Luca. Il 18 febbraio 2020 partono in due: Giuseppe Buffarato, 59 anni, è uno degli uomini di fiducia del gruppo; Francesco Paolo Adamo, lo storico autista del boss.

Leggi anche

«In gran segreto e con estrema cautela» incontrano «Paolo Nirta, reggente della famigerata ’ndrina Nirta-Strangio». Otto giorni dopo gli inquirenti captano il confronto tra Burrafato e gli Angelo al ritorno dal viaggio. Dalle loro parole emerge il rispetto dei siciliani per la cosca di San Luca: Angelo «rassicura Burrafato che l’essersi recato in Calabria per incontrare un esponente criminale così potente sarebbe potuto essere fonte di “problemi” per altre persone, ma certamente non per loro, che godevano di un “nulla osta a 360 gradi” che li autorizzava a muoversi negli ambiti mafiosi di tutta la Sicilia e oltre».

Il rispetto dei siciliani per i Nirta: «Parliamo di gente che ha 5mila uomini»

Segue uno spiegone su San Luca, che per Angelo è «un paese ad altissima densità ’ndranghetista». Paolo Nirta, poi, avrebbe a disposizione «un potere a livello europeo che tu nemmeno hai l’idea» poiché aveva ai suoi ordini moltissimi affiliati in ogni angolo del mondo e persino in Sicilia: «Pure qua ce l’hanno, ce l’hanno pure, loro hanno gente qua, a loro di no non glielo dice nessuno… lì parliamo di gente che hanno 3mila, 4mila, 5mila uomini a disposizione che basta che gli dici… manda a tuo cugino… e si prende… quanti ne vuoi in America, dove li vuoi? In Camerun, li abbiamo pure là». Un modo molto pop di ricordare quanto la ’ndrangheta sia una minaccia a livello globale. Andrea Angelo ricorda, con qualche vistosa inesattezza (definisce di «Dusseldorf» la strage di Duisburg), la storia della cosca di San Luca. Gli inquirenti, invece, ricostruiscono la frequentazione tra Salvatore Angelo e Paolo Nirta «nei prolungati periodi di detenzione comune che avevano scontato» nelle carceri di Palermo e Napoli.

Lì sarebbe nata l’amicizia tra i due. Nonostante la vicinanza tra clan, Burrafato in Calabria ha qualche timore: «Io a un certo punto ero spaventato e ti spiego perché… siamo arrivati davanti alla casa di questo "cristianu" e lui è sceso, più avanti a sinistra c'è una traversina e mi ha detto mettiti nella traversina, va bene! Nella parte in discesa... mi metto nella traversina... e c'erano una donna e un uomo, c'era un garage, questo chi è! Porca miseria non è che qua qualcuno esce pazzo e gli sembra che sono uno "sbirro" hanno qualche "scupetta” (arma da fuoco, ndr) e mi tirano a distanza e mi salta la testa qua dentro senza motivo...». I vicoli di San Luca fanno paura anche ai siciliani.