Le tappe dello scontro nella tifoseria nerazzurra. Il 23 luglio i calabresi minacciano il capo ultrà, poi decidono di eliminarlo e si mettono al lavoro per mettere le mani sul merchandising e aprire un nuovo negozio. Una spia però fa saltare tutto: gli inquirenti sanno chi è
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«Vi comunico che ci troviamo costretti a dover annullare con decorrenza immediata la proposta... poiché uno dei soci è venuto a mancare... che doveva stipulare il contratto... tragicamente scomparso… vengono a mancare i presupposti per l'inizio di una nuova attività». Marco Ferdico era, in curva Nord, uno degli ultrà più vicini ad Antonio Bellocco. Dopo l’omicidio del rampollo del clan di Rosarno contatta un broker immobiliare e gli chiede di bloccare tutto: di quel «progetto di avviare una nuova attività con un negozio» in via Casoretto, a Milano, non se ne farà più nulla perché il suo socio è stato ucciso.
Le carte della richiesta di misure cautelari dell’inchiesta Doppia Curva permettono di ricostruire le manovre che hanno preceduto (e, in parte, seguito) l’assassinio di Totò u Nanu consumato davanti alla palestra Testudo di Cernusco sul Naviglio. Una storia che vede nomi legati ai clan calabresi incrociarsi con i capi ultrà nel patto che governa San Siro.
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La trama sembra presa da Narcos: summit, tradimenti e violenza cieca in nome dei soldi, tanti, che girano attorno alla Curva Nord, casa del tifo interista in cui l’estrema destra stringe la mano alla criminalità organizzata.
C’è un prequel: Berretta lo racconta nel suo unico interrogatorio: fu «convocato tra giugno e luglio, a casa di Bellocco». Un summit nei box sotto l’abitazione con «due emissari» del clan che gli avrebbero rivolto «direttamente concrete intimidazioni». L’oggetto del contendere è sempre la gestione del merchandising: Bellocco vuole che la sua fetta diventi sempre più cospicua, Berretta non vuole cedere.
I pm della Dda di Milano riescono a individuare la data di quell’incontro: il 23 luglio. Nel villino di Pioltello si muovono Andrea Bellocco, Daniele D. e Domenico S.: c’è tensione nell’aria. Arriva anche Salvatore P. che, scrivono i pm, «è persona di fiducia» del suocero di Bellocco. I tre non sono indagati.
Dopo le 14 ecco l’ospite atteso: Andrea Beretta, leader della curva Nord dell’Inter chiamato da Bellocco a discutere di affari. Più che altro a farsi da parte.
Le telecamere nascoste filmano tutto: Beretta arriva alle 14,25 e va via alle 15,08. Sono poco più di 40 minuti di discorsi che l’ultrà ricostruirà nel suo confronto con gli inquirenti dopo l’omicidio. L’ipotesi degli inquirenti è che l’idea di uccidere Beretta nasca proprio quel pomeriggio.
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Sarà lui stesso a raccontare, il 5 settembre, di aver saputo dei propositi di farlo fuori. Non è un’informazione trascurabile: la decisione di uccidere presa da Bellocco e dai suoi matura a luglio in una serie di incontri. A quella pianificazione, però, partecipa qualcuno che decide di tirarsi indietro. Da complice del futuro omicidio, diventa un confidente di Beretta. Va a trovarlo a casa di notte, gli racconta il piano. Tant’è che il capo della curva, che comunque continuava a frequentare Bellocco (come prova la foto di una partita di calcetto proprio il giorno prima delle coltellate fatali), dice di essere riuscito «più volte a sventare il progetto omicidiario grazie alle rivelazioni ricevute dalla persona incaricata a tirarlo in trappola».
La “talpa” che racconta tutto a Beretta avrebbe dovuto avere un ruolo chiave nel suo omicidio: avrebbe dovuto stordirlo «verosimilmente con un sonnifero, e condurlo in un luogo idoneo a perfezionare la sua esecuzione: qui — mettono nero su bianco i pm — sarebbe stato colpito con arma da fuoco e sotterrato».
Il confidente di Beretta sarebbe già stato individuato dagli investigatori. Si tratterebbe di un uomo vicino a Bellocco e Ferdico, scampato agli arresti. Anche dalla sua individuazione dipende: potrebbe rivelare altre verità del mondo di sotto popolato da ultrà e ’ndranghetisti.
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Per ora l’inchiesta mette in evidenza i contrasti sulla gestione del merchandising legati ai dubbi di Ferdico e Bellocco che Beretta avesse fatto sparire soldi dalla cassa comune. Nasce forse da questo sospetto l’idea di mettere le mani sul negozio gestito da Beretta. I soldi in ballo sono tanti. In un’intercettazione è Ferdico a ingolosire l’amico calabrese con le prospettive di guadagno: «Ci escono 300 mila euro l’anno di utile, a stare larghi, eh! Ma per difetto».
L’ipotesi dei lauti guadagni manda avanti il progetto: «Apriamo un negozio a Milano, lo gestisco io, ti faccio vedere come ti faccio guadagnare, 300mila mila euro all’anno». Un’idea coltivata tra le vacanze a Ibiza e la pianificazione degli scontri contro le tifoserie “nemiche”. Tra un summit minaccioso e un selfie tra “fratelli”. E poi tramontata dopo il bagno di sangue nella Smart di Bellocco. Il socio del nuovo negozio non c’è più, «tragicamente scomparso». Restano Ferdico, Beretta e la “talpa” che ha mandato per aria il piano. Sullo sfondo le macerie di una curva in cui la passione per il calcio era la scusa per macinare milioni.