«Prima ci fu il sostegno a Paolo Romeo. Poi si passò ad Amedeo Matacena. Fu una scelta di Pasquale Condello, in quanto Romeo non aveva fatto nulla per noi. Matacena era la persona scelta per risolvere le nostre problematiche a livello processuale». È l’ex braccio destro del “Supremo” a raccontare ciò che accadeva nella metà degli anni ’90 a Reggio Calabria.

 

Ieri Paolo Iannò, collaboratore di giustizia e per lungo tempo anima del cartello condelliano, ha deposto al processo “Breakfast” che vede imputati, fra gli altri, l’ex ministro dell’Interno, Claudio Scajola, e la moglie di Amedeo Matacena, Chiara Rizzo. I due sono accusati di aver aiutato l’ex parlamentare di FI a sottrarsi alla giustizia, dopo la sentenza passata in giudicato che lo ha condannato per concorso esterno in associazione mafiosa.

 

Iannò ha ripercorso le tappe fondamentali degli intrecci fra ‘ndrangheta e politica, risalendo con la memoria agli anni in cui era ancora assai vicino al “Supremo” e questi decideva le strategie politiche, selezionando, di volta in volta, i personaggi da sostenere. Iannò ha risposto alle domande del pubblico ministero Giuseppe Lombardo, spiegando come Amedeo Matacena tenesse degli incontri di natura politica nel negozio di giocattoli di proprietà di Aquila, sulla via Pio XI di Reggio Calabria. Cosa vi chiedeva Matacena, ha chiesto il sostituto procuratore della Dda al pentito, che ha risposto senza esitazione: «Come si svolgevano le cose, la situazione politica». Iannò ha anche rimarcato come l’ex parlamentare fosse particolarmente spregiudicato nel suo agire politico, tanto da non farsi alcun problema nell’incontrare anche personaggi di spicco della ‘ndrangheta in situazioni assai scomode, come alcuni che erano alla macchia. «È uno che si è esposto troppo», ha rincarato Iannò, «perché lui non ha avuto alcuno scrupolo o riservatezza a fare certi incontri. Non sapeva neppure il rischio a cui andava incontro». Ma era consapevole che lei era Paolo Iannò, capo locale di Gallico? «Certamente, lo sapeva. Lui mi parlava di rispetto». Le domande del pm si sono concentrate sul corrispettivo che Matacena avrebbe dato a fronte del sostegno elettorale. E, sebbene Iannò abbia citato piccoli favori relativi a buoni carburante ed altro, l’attenzione dell’accusa è stata massima quando il pentito ha riferito della necessità, per la ‘ndrangheta di aggiustare i processi. «Ha parlato di promesse per quanto riguardava il processo. A noi interessava “Santa Barbara”, che era basato quasi esclusivamente su intercettazioni». Ma cosa si voleva ottenere? «Aggiustare il processo.

 

Anche Paolo Romeo aveva fatto delle promesse che poi non ha mantenuto». I riferimenti di Iannò sono anche ad alcuni personaggi come il commendatore Zoccoli di Catanzaro, che il pentito definisce «punto di riferimento della ‘ndrangheta». Ma non c’erano solo Romeo e Matacena nelle grazie delle cosche. «Mi interessati anche per quanto riguarda Alberto Sarra», ha ricordato Iannò che, sollecitato più volte dal pm, ha anche spiegato come si tentò di aggiustare il processo “Olimpia 1”: «Qualcosa – ha sottolineato – fu fatta dalla parte opposta, dal cartello destefaniano». Iannò fa i nomi degli avvocati Giorgio De Stefano e Paolo Romeo come parte attiva di questo disegno che proseguì anche in “Olimpia 2”. Con un fattore comune: screditare i giudici e i pentiti. Anche attraverso campagne di stampa attraverso il giornale “Il dibattito”, ha rimarcato Iannò.

 

Relazioni ed obiettivi, quelli tracciati da Iannò, su cui il pm Lombardo ha insistito molto. Segno della volontà della Dda di approfondire ancora anni molto caldi di una stagione giudiziaria fondamentale in riva.

 

Consolato Minniti