«Che cosa è questa “cosa nuova”? Praticamente era che bisognava mettere da parte quelli che erano impegnati in determinate cose… e cercare di trovare persone nuove, più che affiliate…».

Nino Fiume è stato per anni seduto ai tavoli che contano nell’ambiente criminale reggino. Autista e braccio destro del mammasantissima Peppe De Stefano – di cui era anche cognato per essere stato fidanzato con la sorella – da quando ha iniziato a collaborare con i magistrati antimafia, ha raccontato dinamiche e avvenimenti delle più influenti cosche di ‘ndrangheta calabresi. Interrogato dal Procuratore aggiunto di Reggio Giuseppe Lombardo, Fiume racconta le trasformazioni all’interno dell’organizzazione in funzione dei rapporti con la massoneria, quella ufficiale e quella “deviata”.

L’audio è stato fatto ascoltare nella quinta puntata di Mammasantissima – Processo alla ‘ndrangheta, andata in onda martedì 14 febbraio su LaC Tv.

Una distinzione che lo stesso Fiume tiene a sottolineare durante la sua deposizione. «Ma non bisogna criminalizzare perché come ho sempre detto io dal primo momento della mia collaborazione… la massoneria ispirata a principi filantropici e di aiuto all’umanità, riconosciuta, è una cosa… quella che riguarda le logge deviate ha a che fare con queste altre persone…».

Le altre persone a cui il pentito si riferisce sono quelle che, almeno ufficialmente, non risulterebbero affiliate ad alcuna cosca. Una categoria da dividere a sua volta in altri due filoni, quello dei «riservati» e quella «dei riservatissimi, quelli che vanno in areo. Lei mi ha chiesto “ma come fa una persona che si accompagna con un pregiudicato ad essere un riservato” – dice in aula il collaboratore di giustizia – e io le ho detto “dottore questa è la forza” perché una persona che non la conosce nessuno… si presta… sembra che non è affiliato però quasi quasi comanda di più… perché è quello che riesce ad interagire in determinati situazioni…».

Quello dei contatti tra i vertici della ‘ndrangheta e le logge massoniche deviate che hanno fatto a gare per accoglierli tra le loro fila è un discorso che risale agli anni ’70 con la creazione della “dote” della “Santa”. Da quel momento tutto cambiò.

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Un cambiamento che Fiume può raccontare per esperienza diretta, per averlo vissuto al tempo della militanza tra i De Stefano. «Io ho vissuto queste situazioni con i De Stefano – racconta rispondendo alle domande dell’accusa – loro ce li avevano questi contatti, dottore… come in quello studio a Roma. Io lì c’ero stato con Carmine De Stefano. Mi trovavo a Roma con mio padre che si trovava a Villa Verde per un intervento. Con la scusa, De Stefano era venuto a trovarmi ed insieme eravamo andati in questo studio qua, vicino alla zecca di Stato e io rimasi fuori e lui entrò dentro a parlare di determinate cose e poi quando uscì disse “ricordati che qua non siamo venuti… dimenticati che siamo venuti qui” perché lì loro avevano una società, come diceva l’avvocato Tommasini, dove… dove non può accedere neanche il presidente della Repubblica».

Sarebbero i contatti “riservati” a consentire agli uomini delle cosche di interagire con realtà importanti del mondo della finanza e degli affari, anche oltre Tevere. «Ma non era solo quello dottore perché tutti i soldi di Milano… la maggior parte dei soldi di Milano… Peppe De Stefano e Franco Coco si travestivano da prete e li portavano in Vaticano… è tutta una storia complicata».

Ascolta il racconto di Nino Fiume