Un’intercettazione raccolta durante le indagini mette in dubbio la morte di Giuseppe Arena, uno dei protagonisti più oscuri della faida di Mileto degli anni Ottanta
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
Lo chiamavano “Peppe u killer”, al secolo Giuseppe Arena, ed era uno dei più temibili sicari al servizio della ‘ndrangheta vibonese, protagonista oscuro della cosiddetta Faida di Mileto scoppiata nella seconda metà degli anni Ottanta. Era, perché di lui non si hanno più notizie dal 1994, epoca in cui subisce una condanna all’ergastolo e si dà alla macchia per evitare il carcere. Da allora, è sparito nel nulla. «È morto» suggeriscono un paio di pentiti che vogliono i suoi resti seppelliti in un luogo non meglio precisato della provincia di Cosenza. Trent’anni dopo, però, il suo fantasma fa capolino negli atti dell’inchiesta “Maestrale-Carthago”.
Maestrale Carthago | ’Ndrangheta nel Vibonese, operazione della Dda in tutta Italia: 81 arresti - NOMI
La “Uno Turbo” è pronta
A colloquio fra loro, infatti, due indagati sembrano mettere in dubbio questo epilogo. «Il giorno prima che è scomparso – dice uno all’amico, riferendosi ad Arena – è andato al Comune di Mileto a prendersi la carta d’identità». Ignorano di essere intercettati e così l’altro fa un’ulteriore rivelazione: «Il giorno prima io gli ho aggiustato la macchina e poi è scomparso». Infine, tirano le somme del discorso: «Eh, le coincidenze. Ti voglio dire: uno si sistema la macchina e il giorno dopo scompare, eh?».
Latitante a Roggiano
In quel periodo, Arena sarebbe stato latitante in quel di Roggiano. Di questo almeno sono certi i carabinieri che nel 1993 pensano di averne individuato il nascondiglio. Missione poi fallita, ma quel giorno i militari avranno di che essere soddisfatti: riescono ad arrestare il boss Salvatore Galati, anche lui ergastolano in fuga. E Peppe u killer? Di lui nessuna traccia. «Può darsi che è all’estero» azzardano i due vibonesi intercettati, ma poi sembrano escludere questa opzione. «Diciamo che se era vivo, penso io che era già tornato».
Maestrale-Carthago | «Mancuso e l’avvocato Sabatino sono la stessa cosa»: il racconto di pentiti e colleghi. Ma temeva Gratteri: «Quello non scherza»
Nasce una locale
Giuseppe Arena è poco più che ventenne quando entra a far parte del gruppo di fuoco della famiglia Galati, a quel tempo impegnata in un sanguinoso scontro a fuoco con il gruppo Prostamo. In ballo c’è il predominio su una fetta della provincia di Vibo Valentia. In quegli anni, infatti, Mileto non è più una semplice ‘ndrina alle dipendenze di Limbadi, ma ha ottenuto il riconoscimento di locale di ‘ndrangheta. A capo del nuovo ordine criminale, Giuseppe Mancuso alias Peppe Mbrogghia pone i suoi uomini di fiducia che molto presto, però, entrano in attrito con i Galati che contano sull’appoggio dei Molé-Piromalli. Il risultato è che dal 1987 in poi una lunga scia di lutti insanguinerà Mileto e dintorni.
Da preda a cacciatore
In quel contesto, si staglia in negativo la figura di Arena. È talmente pericoloso che il clan rivale lo mette in cima alla lista delle persone da eliminare. Provano a farlo fuori diverse volte, ma ogni tentativo cade nel vuoto. L’impresa di toglierlo dalla circolazione sembra cosa fatta quando i suoi nemici vengono a sapere che in un determinato giorno e a una certa ora, il bersaglio si sarebbe recato nella frazione di Comparni per incontrare una donna. Si appostano lì, armati di fucile, ma finisce che da cacciatori si trasformano in prede. Arena dà buca al suo appuntamento con la morte, attende i suoi sicari sulla strada del ritorno e ne uccide uno, ammantando così di ulteriore leggenda nera la sua fama di imprendibile.
Un killer a pagamento
Qual è stata la sua sorte? I suoi resti sono davvero sottoterra da quale parte, nel Cosentino, o è plausibile che, a bordo della sua Uno Turbo e con in tasca una nuova identità, Peppe u killer sia filato via a tutto gas verso una nuova vita, lontano dalla Calabria e magari dal crimine? Per un mistero che accompagna la sua sparizione ce n’è un altro che si lega al suo passato. Nella già citata intercettazione, i due indagati affermano che a Cosenza, Arena facesse «il killer a pagamento». Chi abbia ammazzato e per conto di chi lo abbia fatto, non è dato saperlo. Di certo c’è che a loro avviso «faceva un macello», ma da autentico professionista. «Era capace che tu lo chiamavi e sparava a me, poi lo chiamavo io e sparava a te. Peppe, per soldi, non guardava in faccia a nessuno». Oggi, avrebbe 62 anni.