Cinque collaboratori di giustizia che s’incontrano tra loro e concordano le cose da dire in tribunale. Alcuni consumano e spacciano droga, altri si producono in rapine. Insomma, tornano a delinquere. Le rivelazioni shock di Pierluigi Terrazzano, piovute ieri sulla scena del processo “Reset”, gettano un’ombra sul sistema dei pentiti della 'ndrangheta di Cosenza e, più nello specifico, sull’attendibilità di Marco Paura, Francesco Noblea, Vincenzo De Rose e Giuseppe Zaffonte. È con questo quartetto, incredibilmente alloggiato nella stessa località protetta, che Terrazzano sostiene di essere stato in combutta, ma è soprattutto sull’ultimo nome dell’elenco che punta il dito inquisitore.

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Con Zaffonte, infatti, sostiene di aver consumato cocaina e spacciato marijuana. E come se non bastasse, adombra un suo coinvolgimento in una rapina. «In origine doveva partecipare come esecutore» scrive Terrazzano, ma poi si sarebbe limitato a curare l’organizzazione e a rubare l’auto utilizzata per il colpo con «uno spadino da lui fatto personalmente». Anche il pentimento di Zaffonte, secondo Terrazzano, sarebbe ammantato dall’inganno. Non a caso, l’uomo gli avrebbe confidato di aver compiuto questo passo «per andarsene da Cosenza, dov’era inguaiato con debiti di droga», ma di essersi inventato tutto, a partire dalla propria affiliazione a un gruppo criminale. «Questi polli mi hanno creduto» è il pensiero sprezzante che avrebbe poi rivolto agli inquirenti.

E non solo. Terrazzano parla di veri e propri meeting nell’abitazione di Marco Paura, luogo di ritrovo del quintetto di pentiti «per commentare le operazioni fatte a Cosenza e metterci d’accordo tra di noi per mantenere tutti la stessa linea». Dichiarazioni destinate a lasciare un segno, ma che non rappresentano un fulmine a ciel sereno. Il suo memoriale scottante, infatti, circolava già da alcuni mesi perché lui stesso lo aveva inviato a due quotidiani e ad alcuni avvocati cosentini. Ieri, in aula, se n’è avuta solo l’ufficialità.

Terrazzano, pentitosi nel 2012, vanta trascorsi da rapinatore e spacciatore di droga, con incursioni anche nel settore delle truffe online. Si pente nel 2012, dopo essere stato arrestato in flagranza di rapina insieme all’ex nuora del boss Ettore Lanzino con la quale, all’epoca, intrattiene una relazione sentimentale. Oltre ad accusare gli altri pentiti, opera anche un’abiura del proprio percorso da collaboratore. Sostiene di essersi inventato tutto, di aver riportato sui verbali notizie apprese «da giornali e televisioni» e di aver cercato invano, fin dal 2021, di parlare con i magistrati per mettere nero su bianco la propria ritrattazione. Dice di aver accusato tante persone «ingiustamente», di aver convissuto per dodici anni «con questo peso» e di aver scritto questo memoriale per «pulirsi la coscienza e dormire tranquillo». Dal canto suo Zaffonte, intervenuto come testimone a “Reset”, nega tutte le accuse mosse contro di lui. Ammette, però, di essersi trovato in auto insieme a Terrazzano al quale, durante un controllo a un posto di blocco, i carabinieri avrebbero effettivamente sequestrato della droga. Una brutta storia, insomma, con molti aspetti da chiarire e altri ancora da accertare.