Società per false fatture nell’Europa dell’Est, soci cinesi e 166 “cartiere” nello stesso indirizzo a Reggio Emilia: metodi sempre più sofisticati per frodare il Fisco, riciclare denaro e mascherare le estorsioni. Il procuratore Paci: «Hanno 20 anni di vantaggio»
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La “sua” New Plastic l’ha presa in Bulgaria nel giro di due giorni: arrivo al martedì, ritorno venerdì. Una firma e un timbro: la società era attiva e ha potuto sfornare il primo bonifico per una falsa fattura. Burocrazia zero: slogan buono per tutte le occasioni che torna utile anche a chi ha capitali sospetti da riciclare. Basta trovare una rete di società “cartiere” che non producono nulla, soltanto bonifici. Serve anche quale prestanome per fare da schermo agli uomini dei clan di ’ndrangheta.
Pochi passaggi e i soldi passano di mano: all’inizio della filiera c’è un imprenditore che vuole evadere il Fisco, in mezzo la struttura che glielo consente. Società di appoggio in Italia, un passaggio in Europa dell’Est e poi a una “cartiera” cinese. Da lì il bonifico si trasforma in contanti e torna all’imprenditore-evasore decurtato di una commissione del 3,5% che finisce in parte alla comunità cinese e in parte (la più rilevante) al sistema mafioso che tiene i fili della truffa. Quattro passaggi in tutto per fare mezzo giro del mondo.
L’Europa dell’Est nuovo Eldorado del riciclaggio
La Bulgaria è uno dei nuovi Eldorado per il riciclaggio del denaro. Ma la recente inchiesta della Dda di Brescia che ha scoperchiato il pentolone dell’alleanza tra imprese e clan per evadere le tasse mostra che le aziende e i prestanome si trovano un po’ dappertutto: in Slovacchia, ad esempio, c’era la Neula Uk Sro, altra società a disposizione del gruppo che, in Lombardia, era guidato dai fratelli Cambareri, considerati ai vertici della ’ndrina di San Roberto, nel Reggino. La ditta aveva una partita Iva slovacca, sede a Bratislava e in teoria avrebbe dovuto fornire servizi alle imprese, peccato che non avesse struttura, mezzi aziendali, dipendenti e capacità patrimoniale.
È il perfetto identikit della “cartiera”. C’è anche, ovviamente, il presunto prestanome, un uomo privo di qualsiasi esperienza imprenditoriale. Questo contenitore vuoto ha emesso fatture per un totale di 3,4 milioni di euro tra il 2019 e il 2021. La bulgara New Plastic ancora di più: 10,5 milioni tra il 2020 e il 2021.
Altro giro in Bulgaria nella Alfa Trading 1 Eood e altro indizio: dall’analisi dei conti correnti bancari della società emerge una corrispondenza tendenziale tra gli incassi delle fatture per le vendite (considerate fittizie) e le cifre di bonifici disposti verso altri conti correnti intestati a società cinesi. Penultimo passaggio prima della trasformazione dei bonifici in denaro contante.
Alleanza tra imprese e ‘ndrangheta per evadere le tasse
L’inchiesta di Brescia racconta una delle sfumature di ’ndrangheta nel giro di frodi fiscali. È un sistema rodato ma ha presupposti diversi rispetto al passato. In questo caso lo schema delle false fatturazioni non serve a coprire le estorsioni dei clan: secondo i militari della Guardia di finanza il patto tra imprenditori e presunti mafiosi nasce soltanto in nome del denaro, senza che l’accordo mascheri prevaricazioni. Quelle semmai, si compiono quando gli uomini della ’ndrina di San Roberto voglio prendersi il business e per farlo devono estromettere chi lo gestiva precedentemente.
A Reggio Emilia 166 società “cartiere” allo stesso indirizzo
L’altra sfumatura arriva da Reggio Emilia e la si può cogliere direttamente dalla voce del procuratore Gaetano Paci. Nel caso delle indagini condotte in Emilia Romagna, in effetti, gli imprenditori erano sottoposti a pressioni da parte dei presunti esponenti delle cosche.
Una situazione che il magistrato, già procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, ha riassunto in maniera molto efficace in Commissione parlamentare antimafia: «È il modo in cui i clan fanno pagare le estorsioni allo Stato». Non c’è più bisogno di sparare e intimidire: «Il modo per mettersi d’accordo è proprio quello della falsa fatturazione, un meccanismo che consente sia all’estortore che all’estorto di trarre comunque un vantaggio, scaricando tutto sullo Stato». Anche nel caso di Reggio Emilia, perché il meccanismo funzioni servono società che ne muovano gli ingranaggi. Le solite “cartiere” che, ricorda Paci, «hanno esclusivamente la funzione di associare a determinate operazioni economiche un mero nome. In un caso addirittura a Reggio Emilia vennero rinvenute 166 società cartiere in un solo citofono.
Ovviamente nessuna di queste aveva una sede operativa, personale, strutture o altro. Erano semplicemente dei nominativi, riconducibili tutti alle stesse persone». È un virus che infetta l’economia, soprattutto al Nord, al punto che il procuratore spiega che «anche noti marchi nazionali si rivolgono a queste organizzazioni per l'acquisto di pacchetti di false fatture, per l'acquisto di pacchetti di frodi fiscali, prevalentemente di evasione all’Iva».
Sistema raffinato: la prova che i calabresi in Emilia non erano «quattro scappati di casa che si facevano la guerra tra loro». A forza di perfezionare lo schema – sono sempre parole del magistrato – la ’ndrangheta ha guadagnato «almeno un ventennio di vantaggio rispetto alla comprensione degli osservatori, non solo di quelli giudiziari e di polizia, ma anche di coloro che studiano questi fenomeni».
Da Aemilia a Billions: dov’è la capitale italiana delle false fatture
Sempre a Reggio Emilia, campo d’azione elettivo di un pezzo della criminalità organizzata del Crotonese, appare la terza sfumatura delle frodi al Fisco. Anche in questo caso i metodi sono documentati da una recente inchiesta della Procura. Grandi numeri: 179 indagati e 400 società «tra cui tante “cartiere”» in mano al gruppo.
L’obiettivo però, in questo caso, non sono imprenditori “alleati” (come a Brescia) o estorsioni mascherate: nel mirino finiscono società realmente operanti, con grossi debiti fiscali. Sono quasi compromesse e l’idea è quella di trasformarle in cartiere. Alla base c’è un lavoro di scouting da parte di commercialisti compiacenti per creare la rete e mettere in atto la frode. Poi si va con il pilota automatico: le scatole vuote vengono intestate a prestanomi o persone vicine al gruppo calabro-emiliano e ci si mette al lavoro per raggiungere l’obiettivo
Arrivano decine di dichiarazioni fraudolente per la creazione di crediti Iva fittizi in favore delle aziende del sistema. Secondo le stime degli investigatori il giro di denaro è da capogiro: introiti per oltre 60 milioni di euro. In questo caso il legame con la ’ndrangheta è sfumato ma il filo che arriva fino al 2025 parte dall’operazione Aemilia e attraversa anni di indagini. Da una delle pietre miliari nella costruzione del racconto della ’ndrangheta al Nord, si arriva a Billions.
È in quell’indagine che compaiono alcuni imputati già processati in Aemilia. Il contesto però non è più puramente mafioso ma economico. Seguendo i soldi, gli investigatori, durante le perquisizioni, individuano le “cartiere” che entreranno nella seconda inchiesta. E finiranno poi in Cyrano, altro passaggio investigativo che scoperchia l’uso di fatture false per decine di milioni di euro soprattutto nel mondo dello sport. Sempre in Billions compare un uomo originario di Cutro, un 56enne le cui attività sospette danno il via alla maxi operazione da 179 indagati. Dagli accertamenti sulla sua società parte la slavina che ne coinvolgerà 400 e illuminerà la nuova frontiera delle frodi fiscali.
Non si fa in tempo a individuare un meccanismo che già ne nasce uno nuovo: d’altra parte quegli «scappati di casa» arrivati al Nord hanno vent’anni di vantaggio.