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La sede della Prefettura di Milano. Immagine generica. Foto ANSA/Roberto Ritondale
La ‘ndrangheta come organizzazione criminale più strutturata e radicata in Lombardia, capace di allungare i propri tentacoli, tanto sulla politica, quanto sulle realtà imprenditoriali ed economiche di tutta la provincia milanese. Non più un’associazione legata solo al passato, ma capace di creare veri e propri sistemi criminali.
Così la prefettura di Milano dipinge la presenza delle cosche nella capitale economica d’Italia. Almeno secondo il racconto di chi, quella relazione riservata l’ha potuta leggere.
Un documento asciutto, ma intriso di riferimenti, cifre e spunti di riflessione per i parlamentari italiani.
Soldi facili e controllo delle imprese. Non è certo una novità che la ‘ndrangheta operi come una sorta di banca parallela rispetto al normale sistema creditizio. Le ‘ndrine hanno i soldi molto facili, perché derivanti da attività illecite. Denari che debbono essere reimpiegati in modo pulito. Lo chiamano riciclaggio. E allora, per evitare d’incappare in inchieste che portano poi a condanne pesanti, le cosche – grazie all’aiuto di quei professionisti pagati per questo – mettono in atto un meccanismo semplice: si avvicinano agli imprenditori in difficoltà, offrono loro un aiuto economico, magari come partner, per poi aggredire l’impresa e fagocitarla acquisendone il controllo. In modo diretto o indiretto. Questo meccanismo è stato messo nero su bianco dalla prefettura di Milano, che ha anche rimarcato l’atteggiamento omertoso di molti imprenditori, spesso per paura. I dati in possesso dell’ufficio del governo, infatti, non consentono di parlare di una pervasività così elevata, a fronte, invece, di un dato di fatto molto più preoccupante.
Appalti e vicinanza con i funzionari pubblici. Ormai è chiaro come il tema degli appalti sia di sicuro quello più appetibile per le cosche di ‘ndrangheta radicatesi al Nord. Lì vi sono gare enormi, con interessi in gioco pazzeschi. Ebbene, chi ha potuto leggere la relazione della prefettura di Milano racconta come tale argomento occupi una parte significativa del documento. Anche perché non è un mistero che appalti fa rima con politica e pubblica amministrazione. Lo abbiamo visto pochi giorni addietro con le inchieste “Cumbertazione” e “Cinque lustri”. Tesi d’accusa che vanno provate, ovviamente, ma che svelano comunque quelle strategie d’azione delle cosche in tema di lavori pubblici.
Anche a Milano si sono accorti come, non certo da oggi, ma almeno dagli anni novanta, la mafia in tutte le sue forme abbia studiato uno strumento più difficile da scoperchiare. Qualcosa che prende il nome di intrusioni fattuali. Che significa? Controllare, di fatto, il cantiere dove si realizza l’opera e quindi tutte le attività che vi sono all’interno. E giù con il copione noto: assunzione della manodopera orientata dai clan, con particolare riferimento al movimento terra, e spesso senza tenere conto delle norme sulla sicurezza, con tutte le conseguenze del caso. E quando non si riesce ad acquisire direttamente l’appalto, ecco che arriva il mare magnum dei subappalti.
Le inchieste, in tal senso, sono state tante ed hanno svelato la presenza della ‘ndrangheta nelle più importanti infrastrutture della regione lombarda, finanche ad Expo. Così come la presenza di faccendieri in grado d’interfacciarsi serenamente con istituzioni, uomini del mondo bancario, finanziario ed economico.
Finalmente si parla di sistemi criminali. Insomma, un po’ di tempo è servito anche allo Stato per comprenderlo a pieno: la ‘ndrangheta è ben lontana da quella struttura arcaica che si conosceva un tempo. Il salto di qualità è stato compiuto ormai da anni e, anche se sopravvivono ancora delle sacche particolarmente legate ai riti di una volta, i nuovi volti del crimine organizzato calabrese parlano una lingua totalmente diversa. Hanno studiato nelle migliori università e, quand’anche non siano riusciti a farlo in prima persona, si sono affidati a personaggi in grado di stare sulle piazze economico-finanziarie più importanti al mondo.
Ecco allora che anche la prefettura di Milano non ha più esitazioni nell’introdurre un concetto molto caro ad un magistrato esperto come Roberto Scarpinato: i sistemi criminali. Lui ne aveva fatto proprio un’inchiesta in Sicilia. In Calabria, un suo collega, Giuseppe Lombardo, assieme al procuratore capo di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, sta lavorando nella medesima direzione.
Ora, in Lombardia è lo stesso ufficio del governo a parlarne. Di cosa si tratta? Di quelle forme di cointeressenze fra appartenenti alla ‘ndrangheta, imprenditori e uomini delle istituzioni che consentono, specie attraverso il fenomeno della corruzione, di avere accesso ad un mondo solo apparentemente legale, che abbraccia interi settori economici e non, del Paese. Ecco perché la corruzione non può e non deve essere vista come una tipologia di reato che non ha collegamenti con le mafie. Esse si nutrono di corrotti, perché con il denaro comprano tutto o quasi. Appalti come le persone. E creano un sistema vero e proprio, efficiente come pochi. Ma pur sempre criminale.
Consolato Minniti