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Sono otto le persone indagate per la morte di Nicola Colloca, l’infermiere 48enne di Vibo Valentia, trovato carbonizzato il 25 settembre 2010 in una pineta di Pizzo. La prima inchiesta archiviata come suicidio. Dalla seconda emergono nuovi dettagli. Le perizie sul corpo riesumato mostrano una verità alternativa. Le versioni dei parenti prossimi sono invece tese fin dall’inizio ad avvalorare la tesi del suicidio. Nelle loro testimonianze - sostengono gli inquirenti - tante, tantissime, contraddizioni, che li esporranno a crescenti sospetti.
Caterina Gentile, “dominus” del depistaggio
Fondamentale, nei circa sette anni che separano il giallo dalla chiusura dell’inchiesta, l’attivitá dei carabinieri. Sono in particolare i militari della Stazione di Pizzo, a suo tempo guidati dal comandante Pietro Santangelo, a mettere insieme, sin dalle prime battute, elementi indiziari di tipo testimoniale e logico che daranno un indirizzo deciso alla Procura. Diverse informative per un quadro che più avanti sarebbe stato completato dal successore di Santangelo, Paolo Fiorello, il sottufficiale che si tolse la vita nel luglio scorso con un colpo esploso dalla pistola d’ordinanza.
Centrale in questa vicenda è quella che anche dal gip Lorenzo Barracco - pur rigettando le richieste cautelari mosse dalla Procura - viene definita come “il dominus del depistaggio”. È Caterina Gentile, moglie di Nicola Colloca. È lei - rilevano gli investigatori - che dimostra di avere in mano le redini della situazione, è lei che stabilisce di volta in volta ciò che ciascuno dei testimoni a lei vicini deve riferire agli inquirenti.
La versione concordata
Caterina Gentile - emerge dalle carte - sostiene di aver scoperto da tempo una relazione sentimentale del marito con la vicina di casa, Caterina Magro. La stessa Magro prima confermerà la relazione ai carabinieri, successivamente sosterrà - sempre in sede di interrogatorio - che invece fosse tutta una montatura. Il 24 settembre, giorno della scomparsa di Colloca, Caterina Gentile dice di aver invitato la donna in casa per un definitivo chiarimento in presenza del marito a cui chiede di confessare. La vicina ammette tutto. Nicola invece nega la relazione e si allontana dall’abitazione senza farvi più ritorno.
La donna dichiara ancora - interrogata dagli inquirenti nelle ore successive - di non essersi preoccupata del fatto che il marito non avesse fatto rientro a casa. Era già capitato che pernottasse fuori dopo un litigio. E il tesserino del lavoro che aveva portato con sé (lo stesso badge che si rivelò poi fondamentale per la svolta delle indagini) era indizio del fatto che avrebbe dormito altrove recandosi poi direttamente al lavoro. Ma – riferisce ancora la Gentile - il giorno seguente con il figlio si sarebbe messa alla ricerca del marito decisa anche a denunciarne la scomparsa, salvo poi essere dissuasa dal padre della vittima perché avrebbe rischiato di avere conseguenze negative per il lavoro del figlio. La versione, concludono carabinieri e magistrati, risulterà completamente falsa, tesa solo a depistare le indagini.
Le contraddizioni
Smentita dallo stesso suocero la circostanza della mancata denuncia. Anche i riferimenti ai presunti precedenti pernottamenti fuori casa si rivelano falsi (la stessa Gentile indica - rimarca anche il giorno Barracco - un unico precedente risalente a dieci anni prima). E poi le telefonate di sabato 25 settembre della donna ai colleghi della vittima, ai quali - mentendo - riferiva che l’assenza del marito era dovuta a un matrimonio o che un malore aveva colpito l’uomo, alimentano ancora le certezze di Pm e carabinieri. Ancora, la relazione sentimentale tra la Magro e Nicola Colloca si rivela un’invenzione. La vicina, terrorizzata dalla possibilità di essere incriminata per l’omicidio, sentita per l’ennesima volta nel 2014, crolla e confessa la montatura. Gli spostamenti della Gentile e del figlio, nei momenti successivi all’allontanamento di Nicola Colloca da casa, risultano contrastanti con i dati acquisiti nelle indagini.
Quando la seconda autopsia rivela la presenza di una frattura al cranio, ancora, la donna tenta di accreditare il trauma a un colpo che il marito ricevette da un cavallo quando era giovane, invitando gli altri indagati a fare altrettanto. La circostanza - emerge dalle attività di indagini - viene smentita dal padre della vittima e dall’assenza di documentazione medica.
“Le analisi del cane”. Il sospetto di essere intercettati
Sapendo probabilmente di essere intercettati, gli indagati nelle loro conversazioni mostrano estrema prudenza utilizzando sempre un linguaggio criptico. Parlano di "analisi del cane" per riferirsi agli esiti della seconda autopsia. La stessa Gentile raccomanda al figlio nel caso in cui fosse sottoposto a delle sedute da uno psicologo "di non dire più di tanto perché ci potrebbe essere pure lì qualche cimice".
“Poi se lo fa gli dai una pistolata pure a lui”
Di particolare rilievo, secondo i militari dell’Arma, è poi una conversazione intercorsa tra la Gentile e il figlio, svoltasi il 12 ottobre del 2010 all’interno della loro auto. La donna, nel ventilare la possibilità che il suocero avesse voluto sfrattare nuora e nipote dall’abitazione del defunto figlio dice: “Poi se lo fa gli dai una pistolata pure a lui”.
La relazione clandestina. La crisi coniugale. Il ruolo dell’amante
È lei che da tempo - spiegano magistrati e uomini della Benemerita - che ha una relazione extraconiugale. Lei riferirà agli inquirenti di vivere un periodo di crisi soprattutto dovuta all’avarizia del marito che manteneva il controllo delle finanze della famiglia costringendola a vivere con pochi soldi e pretendendo per sé anche il denaro che la donna guadagnava con il suo lavoro.
Emerge l’esistenza di schede telefoniche segrete in uso alla Gentile e all’amante. E' lui a rivelarlo agli inquirenti nel giugno 2015. Viene evidenziata dunque la presunta compartecipazione dell’uomo all’attività di inquinamento probatorio, chiaramente protesa ad evitare che le indagini si incentrassero anche sulla sua persona. Sospettano di essere intercettati anche nell’automobile. Così si incontrano in luoghi prestabiliti dirigendosi ciascuno con la proprio auto ed allontanandosi poi a piedi per parlare. Queste tesi risultano avvalorate dall’analisi del tracciato Gps in uso agli indagati.
“Nessun dubbio che ella debba ritenersi direttamente responsabile dell’omicidio”
L’atteggiamento mostrato dagli indagati – scrive il gip nelle pagine finali della sua ordinanza di rigetto - "non trova alcuna spiegazione se non quella del coinvolgimento di ciascuno nella vicenda delittuosa. Quanto alla Gentile, nessun dubbio - conclude - che ella debba ritenersi direttamente responsabile dell’omicidio del marito non potendosi giustificare la continua opera di depistaggio e inquinamento probatorio".
La difesa di Caterina Gentile
La donna, per completezza di cronaca, oltre che agli inquirenti, sia nelle denunce presentate all’autoritá giudiziaria per la supposta rivelazione di segreti d’ufficio e per diffamazione, sia in una lettera al Quotidiano del Sud, ha sempre ribadito l’innocenza sua e del figlio rispetto all’omicidio del marito.
Pietro Comito e Manuela Serra