«La prima speranza quando sono arrivato qui era in quella casetta. Speravo di trovarli accovacciati lì, stretti nelle braccia della loro mamma. Me li sarei portati via, anche a piedi». Angelo Frijia, marito di Stefania Signore e padre dei piccoli Christian e Nicolò morti nell’alluvione del quattro ottobre, ci dà appuntamento a dieci giorni dai funerali proprio su quella maledetta strada in cui è stata ritrovata la macchina a bordo della quale viaggiavano i suoi affetti più cari.


Una macchina vuota, perché sua moglie ei suoi figli erano scesi, forse per rifugiarsi in un casolare, ma la violenza dell’acqua, l’impeto, la forza del torrente Cantagalli, che esondando si è riversato su questa strada tutte curve che collega San Pietro Lametino a San Pietro a Maida, se li è portati via. E Angelo in quell’inferno c’era, li ha cercati con tutte le sue forze, prima in macchina, poi a piedi, da solo. Perché nessuno è intervenuto. «C’ero solo io – ribadisce – non è venuto nessuno. Sono arrivati il giorno dopo. C’ero solo io a cercarli». Mentre su queste tre morti c’è un’indagine della Procura per omicidio colposo plurimo e si indaga per individuare errori e responsabilità, quest’uomo con il coraggio e la forza che gli dona anche la fede si rivolge alla politica e alle istituzioni. Frijia fa appello al ministro dell’Interno Salvini, al vice presidente del consiglio Luigi di Maio e al presidente della Repubblica Mattarella ma anche a tutti coloro che possano intervenire per mettere in sicurezza una regione «in miseria».

 

Il suo scopo, ci spiega, è che «la Calabria cambi, tante, troppe cose non vanno bene. Ci vogliono più controlli e non nelle aree più esposte e visibili, ma anche in quelle periferiche». Il timore è che tutto venga lasciato cadere nel vuoto e che questa come altre strade diventino di nuovo assassine. La certezza, invece, è quella che se Stefania, Nicolò e Christian hanno esalato il loro ultimo respiro quella notte e lui invece è riuscito a sopravvivere c’è un motivo. «La strada era diventato un vero e proprio mare» ricorda Frijia indicando anche la curva dalla quale il Cantagalli sarebbe penetrato sulla strada. Una strada ancora visibilmente dissestata con la terra che sovrasta di parecchi centimetri quello che dovrebbe essere il muro di contenimento. «L’acqua non defluiva nella cunette - dice ancora Frijia – andava direttamente sulla strada».


«Deve cambiare tutto. La Calabria non può restare in questo modo» ribadisce ancora animato dalla forza della fede. «Questa non è una strada qualunque – conclude Angelo Frijia - così come non lo è l’ora in cui sono morti. Il destino, il mistero, qualcosa li ha portati qui. Non è una semplice storia, non può esserlo. Fidatevi, fidatevi nella fede in Dio».

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