La frutta piazzata dalla ‘ndrangheta nelle strutture ricettive e della ristorazione lungo la Costa degli dei. Un affare che movimenta fiumi di denaro, laddove il turismo è un’industria sulla quale il clan Mancuso aveva allungato i suoi tentacoli. Al maxiprocesso Rinascita Scott riprende l’esame del tenente colonnello Giovanni Migliavacca, comandante del Reparto anticrimine del Ros di Catanzaro, uno degli ufficiali di polizia giudiziaria le cui indagini costituiscono l’architrave del compendio accusatorio portato a dibattimento nell’aula bunker di Lamezia Terme.

L'esame del colonnello Migliavacca

Rispondendo alle domande del pm Andrea Mancuso, l’ufficiale dell’Arma scorre le intercettazioni che dimostrano come Gianfranco Ferrante, uno dei factotum del superboss Luigi Mancuso, intervenisse per dirimere ogni controversia e tutelare gli interessi di uno dei fornitori di frutta e verdura che, secondo l’accusa, sarebbero stati sponsorizzati dallo stesso clan, Antonio Scrugli, anch’egli imputato nel maxi. In sostanza, Ferrante, gestore di fatto di uno dei bar-tavola calda più noti e ricchi della provincia, il Cin Cin Bar di Vibo Valentia, interloquiva con diversi altri presunti esponenti della malavita, prestandosi ad un’attività non propria, ovvero il controllo dell’attività commerciale dello stesso Scrugli e delle sue forniture.
«Ci siamo limitati ad analizzare il volume d’affari della Naturella Frutta di Antonio Scrugli – spiega il colonnello Migliavacca - con riferimento alle sole forniture di strutture ricettive ed alberghiere, escludendo quindi market e quant’altro. Abbiamo un dato di partenza constatato nel 2012, ovvero un fatturato di 10.500 euro, nel 2015 invece arriviamo a 154.000 euro. Una buona parte di questo incremento, è legato ad alcune strutture ricettive di Capo Vaticano che si sono rivolte, dal 2014, proprio alla Naturella».

I rapporti tra Mancuo e La Rosa

Esaurito questo tema, il colonello Migliavacca si concentra sui rapporti tra i Mancuso e Domenico Salvatore Polito, figura di riferimento del clan La Rosa di Tropea, la cui assidua presenza nella casa e sul terreno di Pasquale Gallone, longa manus di Luigi Mancuso, è stata abbondantemente documentata dal Ros di Catanzaro. Il 28 marzo 2017, in particolare, il Ros captava «una sorta di report, di resoconto, che Polito fa a Gallone in relazione ad una questione che precedentemente aveva affrontato con Tonino La Rosa, referente criminale per la zona di Tropea, secondo le indicazioni che aveva dato, in presenza di Agostino Papaianni (presunto referente del clan su Capo Vaticano, ndr), lo “zio”, ovvero Luigi Mancuso. La discussione era una questione legata ad un tale Giuliano che all’asta aveva acquistato un bed & breakfast, per un prezzo di un certo valore, parliamo di 700.000 euro, a Tropea».

In pratica Gallone, legittimato da Mancuso, aveva delegato Papaianni a “controllare” l’espansione di Giuliano, che avrebbe acquistato la struttura ricettiva sul territorio dei La Rosa. I La Rosa, tramite Polito, da Giuliano avrebbero preteso il pizzo – spiega in aula il comandante del Ros – ma Papaianni avvisava che l’imprenditore, qualora avesse subito pressioni da soggetti diversi da lui che lo conosceva personalmente, «si sarebbe rivolto ai carabinieri». Ma Polito insisteva – ricostruisce il colonnello Migliavacca – affinché Papaianni, che ne aveva una conoscenza diretta, intervenisse sull’imprenditore e «si mettesse a posto».

La deposizione è proseguita sul ruolo di Agostino Papaianni e su altre vicende estorsive, quindi sulla pervasività dei clan Mancuso e La Rosa tra Ricadi e Tropea.