È un giudizio sospeso quello di Nicola Gratteri sul governo gialloverde: «Per ora non ho visto progetti di riforma della Giustizia. Si punta il dito contro la prescrizione dei reati ma non si parla dei fascicoli giudiziari che restano nei cassetti per anni a causa dei limiti del processo penale».
Ospite di Lilli Gruber a Otto e mezzo su La7 per presentare il suo nuovo libro (Storia segreta della ‘ndrangheta, Mondadori), il procuratore della Repubblica di Catanzaro, noto per la sua strenua lotta contro la ‘ndrangheta, non scioglie le riserve sul governo in carica. «Non vedo Salvini impegnato contro la mafia come lo è contro l’immigrazione - ha affermato il magistrato -. Di contrasto alla mafia ancora non ho sentito parlare. L’immigrazione, però, non si combatte efficacemente limitandosi a mettere un tappo sulle spiagge, ma bisogna andare in Libia con i servizi segreti e in Italia contrastare la mafia che fa dei migranti un business, come è successo al Cara di Crotone».
Per il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, il giudice ha parole di sincero apprezzamento umano: «Una persona gentilissima, quasi imbarazzante per la sua umiltà». Ma sulla sua competenza non si sbilancia. «Non lo so - risponde Gratteri -. So che è un professore universitario a contratto. Mi auguro che sia competente, ma per ora non ho elementi per un giudizio preciso».


Nonostante venga sollecitato dalla conduttrice e dal direttore dell’Espresso, Marco Damilano, a dire la sua sul modello Riace, anche in questo caso non si sbottona: «Leggete bene le carte, non posso parlare delle indagini in corso, scatterebbe subito un provvedimento disciplinare».
Il chiodo fisso di Gratteri è quello di sempre: la ‘ndrangheta. La mafia calabrese è per lui «il problema dell’Occidente». «Dominano il mercato mondiale della droga – spiega - ma il problema è che l’Europa non se ne accorge. Sembra paradossale, ma anche le mafie sudamericane stanno comprando dalla ‘ndrangheta. Eppure, più si sale verso il nord Europa e più manca la cultura del controllo del territorio. Credono che mafia significhi uccidere in strada o far saltare macchine a scopo intimidatorio. Non capiscono che la mafia all’estero non si muove così. In Europa la mafia vende cocaina a fiumi e compra tutto quello che c’è in giro, senza che nessuno si accorga di nulla. Se, ad esempio, la ‘ndrangheta compra un albergo a Francoforte, starà attenta che in quella strada non si rubi neppure una bicicletta, continuando a fare i suoi affari senza destare alcun sospetto».
Insomma, per Gratteri manca la consapevolezza a livello europeo della forza del potere mafioso e delle conseguenze che si rischiano a ignorarlo.

 

«L’ultima volta che in Europa si è discusso di uniformare il sistema giudiziario – racconta per rimarcare il paradosso - si è ipotizzato di adeguarsi al sistema Lettone, ma vi rendete conto? Si perderebbero cento anni di leggi contro la mafia. Le norme migliori sono sempre scaturite dai momenti più dolorosi della lotta contro la mafia, all'indomani delle stragi. Se si volessero davvero omologare i sistemi giudiziari il punto di partenza sul quale costruire il nuovo impianto normativo non potrebbe essere che l’antimafia italiana».
La mancanza di sintonia con l’Europa emerge anche quando viene richiamata la recente condanna dell’Italia da parte Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, per avere rinnovato il regime carcerario del 41 bis a Bernardo Provenzano, dal 23 marzo del 2016 fino alla morte del boss mafioso.
Anche su questo Gratteri non ha dubbi: «Provenzano negli ultimi anni non è stato in carcere, ma è stato in una clinica dove è stato curato meglio di qualunque altro cittadino. Ciò che l’Europa non capisce è che un capomafia come Provenzano, che non si è mai pentito, comanda anche solo con gli occhi, è per questo che gli si deve impedire di avere contatti con l’esterno. Resterà pericoloso fino alla morte».

 

«I tedeschi hanno negato l’esistenza della mafia anche dopo la strage di Duisburg nel 2007 – conclude Gratteri -. Una volta, per zittire un parlamentare tedesco che aveva perso la calma sostenendo con tutte le sue forze che la mafia in Germania non esiste, sono stato costretto a chiudere la conversazione tranquillizzandolo: “Ha ragione, la strage strage di Duisburg l’ho compiuta io».