Il gruppo addetto a fare uscire la droga dal terminal viveva nell'incubo della finanza e dei controlli. Ecco le conversazioni intercettate dagli investigatori dai telefoni criptati
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Il gruppo di portuali infedeli aveva una vera e propria ossessione per le forze di polizia, apostrofate come «sbirri» o «cani». Ogni piano per fare uscire i carichi di cocaina dal porto di Gioia Tauro era organizzato nei minimi particolari e l’attenzione sulla presenza di troppe divise sui piazzali metteva subito in agitazione la squadra. La banda che agiva nel terminal sarebbe stata composta, secondo quanto emerso dall’inchiesta della Gdf conclusasi ieri mattina, da Domenico Bartuccio, Rosario Bonifazio, Girolamo Fazari, Salvatore Bagnoli, Salvatore Dell’Acqua, Domenico Longo, Nazareno Valente Antonio Zambara.
L’ansia di portare a termine il lavoro viaggiava di pari passo con la paura di poter essere beccati dalla guardia di finanza. Le intercettazioni ai cui erano sottoposti gli indagati sono lì a dimostrarlo: «Si apprendeva da alcuni commenti che il Fazari aveva dovuto fare il giro lungo per la temuta presenza di forze dell'ordine (Fazari: dove sono? Albanese: gli sbirri ... Fazari: aspetta che stiamo arrivando ... (impreca) ... abbiamo dovuto fare il giro lungo, Manolo!)… A questo punto, Dell’Acqua nel commentare l'azione appena conclusa e cioè quanto fosse stata "pesante" la merce appena trasbordata veniva prontamente interrotto dal Fazari che, per timore dì possibili intercettazioni e dunque ben consapevole dell'attività illecita, imponeva il silenzio sull'argomento («oh, non parlate che ... »)
«La scaltrezza degli indagati – scrivono a questo riguardo gli inquirenti - non si esplicitava solo nelle modalità operative prescelte per la messa in opera delle attività ma anche, e soprattutto, nelle accortezze usate per le comunicazioni, che solitamente avvenivano tramite incontri de visu, abilmente tenuti fuori delle autovetture o di ambienti chiusi, o attraverso l'utilizzo di radio ricetrasmittenti nonché di apparati telefonici "sicuri"», vale a dire i cosiddetti “criptofonini”, che grazie a un particolare sistema di cifratura finalizzato ad eludere eventuali indagini tecniche erano difficilmente penetrabili.
«Invero – si legge nell’ordinanza - a seguito dell'azione condotta da una squadra investigativa comune costituita dalle competenti autorità francesi, belghe ed olandesi, è stata realizzata un'attività investigativa che ha permesso di accedere al sistema criptato Sky Ecc…L'analisi ex post delle suddette chat, dal contenuto assolutamente esplicito, ha ulteriormente arricchito le già straordinarie emergenze investigative, risultandone perfettamente collimanti».
Le precauzioni prese dai portuali, come visto, sono servite a poco. Gli inquirenti infatti sono riuscire a penetrare nei telefoni criptati: «Attraverso le analisi ed acquisizioni a cui si è fatto cenno, si svelavano quindi agli investigatori, con chiarezza e nel dettaglio, le dinamiche criminali interne allo scalo portuale di Gioia Tauro che, da sempre crocevia dei traffici illeciti, anche in questo caso era divenuto terreno fertile di una struttura organizzata complessa e variamente composita che, dotata di un meccanismo operativo assolutamente ben collaudato, riusciva a lucrare enormi guadagni, esfiltrando ingentissimi quantitativi di cocaina provenienti dal Sudamerica e in transito presso il sedime portuale, occultati all'interno dì containers, abilmente manovrati dai portuali per le operazioni necessarie all'asportazione del narcotico».
E anche da quei messaggi si evince la paura costante tra i portuali infedeli delle forze di polizia. Come quando Dell’Acqua riceve la risposta di Bonifazio «che lo ha invitato a passare davanti all'area visite per controllare "a vista" se il container fosse lì, a disposizione delle forze dell'ordine: "Controlla che non lo hanno i cani sotto il capannone, vedi nattimo, Passa vicino». E siccome l’accortezza non è mai troppa, se c’era qualcosa che non quadrava, il gruppo abbondava subito il proposito di recupero della droga dal container: «La cosa puzza – si scrivevano nella loro chat criptata - c'è casino e non si capisce un cazzo».
In uno dei tanti messaggi scambiati per organizzare l’uscita della droga dal terminal, gli investigatori captano Salvatore Dell’Acqua «molto più preoccupato, ed aveva inviato sul gruppo una foto che ritraeva alcune auto, commentando il fatto che vi fossero le forze dell'ordine nascoste sul ponte: "I cani erano nascosti sul ponte dove non si può passare" per poi aggiungere "Stasera non ci fanno uscire da qua ve lo dico io"».
Un drone in volo sull’area portuale aveva messo in agitazioni molti membri del gruppo, che si era diviso tra chi voleva continuare ad operare e gli «allarmisti», che li definiscono gli inquirenti nell’ordinanza.
«Nel frattempo continuava la discussione sulla chat di gruppo a cui partecipavano Salvatore Bagnoli, Girolamo Fazari, Domenico Sciglitano, Roberto Ficarra, Rosario Bonifazio, Salvatore Dell’Acqua, Antonio Zambara, Francesco Giovinazzo e Nazareno Valente. L'argomento principe continuava ad essere quello relativo alla fattibilità delle operazioni, attese le problematiche più volte esposte (l'aereo ed il drone in sorvolo sul sedime portuale di Gioia Tauro). Ebbene, sul punto si registravano due posizioni contrapposte. Bonifazio, imperterrito, ordinava a Bagnoli alias "Luis"» di procedere comunque con il piano, mentre «Dell’Acqua appariva invece molto più preoccupato, ed aveva inviato sul gruppo una foto che ritraeva alcune auto, commentando il fatto che vi fossero le forze dell'ordine».
I fortissimi timori venivano esternati anche dal dialogo intercettato successivamente in modalità ambientale. «Dell’Acqua riferiva di aver ricevuto un messaggio da Copelli Salvatore ("Thor"), il quale a sua volta riteneva che le attività illecite avrebbero dovuto essere svolte solo in piena "sicurezza", senza cioè incorrere in rischi inutili: "mi ha scritto a me, Thor" ... "se è possibile, sì' Sennò non c'è niente per nessuno! ... cose giuste o no?". Anche Zambara e Fazari espressamente parlavano di un'operazione di polizia in corso di svolgimento, alludendo al fatto che a Gioia Tauro ci fosse parecchio movimento da parte delle forze dell'ordine. Dell’Acqua riteneva necessario scrivere chiaramente nel gruppo, esplicitando le proprie intenzioni di interrompere l'attività, avvisando anche Bonifazio (Satana), il quale - come visto - rimaneva l'unico soggetto del gruppo convinto di portare avanti l'operazione: ("scrivigli nel gruppo (incomprensibile) scrivigli pure a Satana!"). Dell’Acqua, infine si lasciava andare ad una serie di considerazioni sulla strategia utilizzate dalle forze dell'ordine…Dell’Acqua ipotizzava infatti che probabilmente sarebbero stati arrestati quella sera stessa, direttamente al porto ("allora ti dico una cosa io: se loro ci fanno uscire da qui stasera, non succede niente, sennò ci arrestano qua! Stai tranquillo che è così!")».
Gli arresti arriveranno veramente, ma solo due anni dopo, quando cioè tutti i pezzi del puzzle ipotizzato dagli investigatori andranno al loro posto. Su una cosa però i portuali infedeli avevano ragione: gli “sbirri” di cui avevano avuto tanto timore alla fine li hanno veramente arrestati.