La cosca accusava Salvatore di Cicco di avere dato ai carabinieri indicazioni utili alla cattura del reggente degli Abbruzzese. La pena più pesante a Giuseppe Spagnolo detto “Peppe u Bandito”. Le ultime parola prima di morire: «Non ho fatto niente»
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Il gup di Catanzaro, Gilda Danila Romano, ha comminato tre condanne riguardo all’omicidio di Salvatore Di Cicco, avvenuto a Crucoli il primo settembre del 2001.
La condanna più pesante è stata comminata nei confronti di Giuseppe Spagnolo, 55 anni, detto “Peppe u Bandito”, 30 anni di reclusione.
Sono stati condannati a sette anni di reclusione ciascuno i due collaboratori di giustizia Nicola Acri, 45 anni, detto “Occhi di ghiaccio” e Ciro Nigro, 57 anni.
Il raggiro e l’omicidio
Secondo la ricostruzione dei fatti operata dalla Dda di Catanzaro, il commando, composto da esponenti dei locali di ‘ndrangheta di Cirò, Cassano e Corigliano Calabro, avrebbe attirato in trappola Salvatore Di Cicco grazie all’aiuto di Ciro Nigro, ex esponente della ‘ndrina di Corigliano Calabro, il quale avrebbe ordinato alla vittima di accompagnarlo a recarsi a Cirò con il pretesto di concludere un acquisto e trasporto di armi. I due sarebbero partiti in macchina insieme, con Di Cicco alla guida. Una volta giunti sul lungomare di Torretta di Crucoli, Nigro, già istruito dai mandanti, tra i quali il boss di Rossano Nicola Acri, avrebbe lasciato la vittima in mano ai propri carnefici.
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Una volta sceso dall’auto Di Cicco sarebbe stato bloccato e ucciso per mano di Giuseppe Spagnolo con una pistola calibro 38.
In seguito il corpo è stato interrato con l’uso di un escavatore meccanico.
Il timore che fosse un informatore dei carabinieri
Di Cicco si era legato alla famiglia degli Abbruzzese di Cassano, tanto che la figlia di questi aveva intessuto una relazione sentimentale – racconta Ciro Nigro – con il reggente della cosca Franco Abbruzzese. Un evento che «consentiva al Di Cicco una rapida ascesa in ambito criminale tanto da divenire responsabile, per l’area di Sibari, anche della raccolta dei proventi estorsivi».
L’idea di ucciderlo – racconta sempre Nigro – sarebbe maturata in seno alla cosca d’appartenenza poiché Di Cicco sarebbe stato sospettato essere un informatore dei carabinieri. Si addebitava allo stesso Di Cicco la cattura, da latitante, di Franco Abbruzzese.
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«Non ho fatto niente»
Nigro ha raccontato, davanti al sostituto procuratore Domenico Guarascio, anche i particolari dell’omicidio. Come il fatto che ,una volta compreso di essere vittima di un agguato, Salvatore Di Cicco avrebbe gridato la propria innocenza: «Io non ho fatto nulla».
«Quello che hai fatto lo sai tu», gli avrebbe risposto Nigro, comunicargli persino il suo rammarico per essergli stato negato “il piacere” di premere personalmente il grilletto.
In quel momento Giuseppe Spagnolo avrebbe puntato la pistola per sparare ma questa non faceva fuoco a causa di un inceppamento.
Spagnolo, allora, avrebbe estratto da una busta una pistola calibro 38 e dopo averla caricata con due cartucce non avrebbe esitato a sparare.