«I libri sono il punto fermo di ogni civiltà, il punto di svolta. Nessuna trasmissione culturale è possibile senza di essi. Per questo, con coraggio e per amore di mia madre Emilia Iaconianni, originaria di Roggiano Gravina, dopo la liberazione del campo di Ferramonti di Tarsia, mio padre Gustav Brenner, ebreo austriaco, restò a Cosenza. Restò, in una Calabria con un tasso altissimo di analfabetismo, con i libri». Walter Brenner è orgoglioso e fiero di raccontare la storia del padre Gustav, seguendo le orme del quale anche lui è diventato un editore.

«Si appassionò ai libri da giovanissimo a Vienna, al fianco di suo padre Joseph, per poi continuare a coltivare questo interesse anche in Italia, a Milano, in clandestinità. Poi le leggi razziali, l’arresto e la detenzione nel campo di internamento di Ferramonti, in Calabria. Un frangente drammatico della sua vita che non lo distolse dalla sua visione secondo la quali i libri e la conoscenza avrebbero contribuito al progresso umano. Una visione che oggi è anche la mia. Una visione che ho posto al servizio della Calabria, che mio padre aveva scelto come nuova patria, e soprattutto di ciò che della Calabria restava in ombra», ha raccontato Walter Brenner.

Il primo editore in Italia a pubblicare su Ferramonti

«Brenner editore fu il primo in Italia a pubblicare un volume su Ferramonti di Tarsia. Del più grande campo di internamento fascista non esisteva che qualche cenno. Era una storia di cui nessuno parlava e di cui nessuno aveva ancora scritto. Così nel 1980 pubblicai il volume del professore Franco Folino dal titolo provocatorio “Ferramonti Un lager di Mussolini, gli internati durante la guerra”. Ferramonti non fu un lager ma quel titolo ebbe lo scopo scuotere le coscienze e squarciare il velo di oblio che avvolgeva questa storia come la storia delle leggi razziali in Italia. Una dimenticanza volontaria, perché nulla si dimentica per caso, rispetto alla quale sentivo e sento ancora l’urgenza di rispondere con la parola e con il racconto di quello che è stato», ha spiegato Walter Brenner.  

Una sofferenza da non sottacere più

«Mio padre non ne parlava. Voleva proteggere me e mia sorella Pina. Ma io volevo sapere e quando ho capito ho iniziato a testimoniarlo. Continuo ancora a farlo. La persecuzione, le privazioni, lo sradicamento, gli stenti, le malattie. Poi ancor la paura e la detenzione dentro un campo di internamento. Anche se resa umana e tollerabile dal comandante di origini reggine Gaetano Marrari e dal direttore Paolo Salvatore e dalla meravigliosa solidarietà della comunità cosentina, essa restò, con le altre, un’esperienza dolorosa. Un carico di sofferenza che adesso abbiamo noi la responsabilità di custodire di tramandare, di non sottacere più. Abbiamo questo dovere in un Paese che ha tenuto nascoste troppo a lungo le persecuzioni di cui si è macchiato», ha sottolineato Walter Brenner.  

La storia di Gustav Brenner

Dopo essere stato arrestato in Austria perché ebreo e avere conosciuto gli orrori nei campi di concentramento Buchenwald e Dachau, Gustav Brenner era riuscito a fuggire, arrivando in Italia dove aveva vissuto in clandestinità. Dopo essere passato da Trieste, aveva cercato e trovato rifugio a Milano. Ma negli anni Quaranta, anche in Italia gli ebrei furono perseguitati, arrestati e internati prima di essere deportati nei lager nazisti. Anche Gustav Brenner fu arrestato, ma la sua destinazione fu il campo di internamento fascista più grande allestito dal regime in Italia. Quello a Ferramonti di Tarsia, in Calabria. Una detenzione che, nonostante gli stenti e le sofferenze, fu preludio inaspettato di una nuova vita. Grazie ai contatti consentiti tra la comunità circostante al campo e gli internati, Gustav Brenner, conobbe colei che sarebbe diventata sua moglie, Emilia Iaconianni.

L'amore per Emilia e per i libri

«Mia madre era una donna coraggiosa, volitiva e anticonformista. Qualche anno dopo la liberazione del campo e la fine della guerra lei e mio padre si sposarono. Decisero di restare a Cosenza e di aprire una libreria. La loro fu una grande storia d’amore. Un amore che li sostenne nella scelta pionieristica di restare in Calabria, investendo sui libri. Tutto iniziò con una biblioteca circolante, per favorire il prestito di libri a chi non potesse permettersi di acquistarlo. Il progetto crebbe nel tempo e oggi Brenner editore è una libreria che vanta il merito di vendere per il 90/95%, pubblicazioni che edita. Un progetto che ha abbracciato delle sfide importanti al servizio della cultura e della funzione sociale che essa è chiamata a svolgere. Per questo ho raccontato storie negate come quella di Ferramonti; ho curato pubblicazioni dedicate alla Calabria e al suo immenso patrimonio culturale e storico, ingiustamente relegato in un angolo; ho dato voce alle minoranze. Quella visione che fu dei miei genitori, oggi è la mia», ha sottolineato Walter Brenner.

«Una spinta che muove da dentro»

«Rifarei tutto. Affronterei nuovamente ogni sacrificio, né mi scoraggiano quelli che ancora mi attendono, specie in questo momento storico. Quando qualcosa di così profondo muove da dentro, com’è successo prima a mio padre e poi a me, non puoi fare a meno di ascoltare e di assecondare. Lo devo ai miei genitori, al loro coraggio. Lo devo a chi verrà dopo di me, ai miei figli, Emilia, Davide e Alessandro, ai figli di mia sorella Pina, Raffaella e Nicola, e alle nostre adorate nipotine, Teresa, Irene e Laura. Lo dobbiamo a loro, che certamente avrebbero reso felice mio padre se avesse potuto vivere più a lungo per conoscerli. Sarebbe stato molto felice di essere bisnonno. Lo dobbiamo ai tanti giovani che devono sapere e non dimenticare», ha sottolineato Walter Brenner.

Gustav Brenner morì nel 1974. Aveva solo 58 anni. I figli Walter e Pina ne avevano rispettivamente 20 e 24. Entrambi sono ancora oggi testimoni della storia del padre che, anche grazie al loro racconto, è diventata anche la nostra storia.

«Una memoria davvero condivisa può salvarci»

«Ci sono i ricordi personali e poi c’è la memoria che invece organizza quei ricordi rendendoli trasmissibili e contribuendo al processo che rende quella stessa memoria collettiva. Non possiamo e non dobbiamo dimenticare ciò di cui l’uomo è stato capace. Il punto infimo che è stato in grado di raggiungere.  

Una memoria davvero condivisa può salvarci dal ripetere errori così gravi e drammatici. Credo che l’Italia debba ancora lavorare molto prima di potere ritenere chiuso il conto, semmai sarà possibile farlo, con la storia scomoda della persecuzione degli ebrei scritta sul suo territorio. Ancora sono troppe le zone lasciate in ombra. Tra queste c’era Ferramonti. Oggi viviamo un’epoca in cui esplorare e guardare in faccia gli abissi neri in cui l’animo umano ha dimostrato di poter cadere con conseguenze gravissime, non è più differibile. Noi diamo il nostro contributo, raccontando anche la bellezza di cui questa terra di Calabria è traboccante. Così, non dimenticando il passato, costruiamo il futuro», ha concluso Walter Brenner.